martedì 31 maggio 2011

Il poeta come Angelo Moderno Ferito

                                                          photo by Edoardo Eggel


IL  POETA E LA  SUA FERITA DI ANGELO
di Ilaria Gallinaro
La fredda ricerca del filologo erudito contrapposta alla calda verità della poesia? In realtà non so se condividere a pieno una così netta contrapposizione: certo è che, posta in un altro modo, la questione presenta un risvolto affascinante. Il poeta attinge a delle verità importanti alle quali la filologia darà poi un volto più definito… E allora poco importa distinguere filologia e poesia: entrambe hanno il compito di svelare l'opera d'arte, ciascuna con i suoi strumenti, ciascuna per la sua strada, l'una non meno nobile e preziosa dell'altra. Miredi racconta una volta ancora ( e chissà quante volte ancora dovremo raccontare queste favole perché davvero esauriscano il loro potere di conoscenza) alcuni dei miti greci e dice di farlo con una “poetica coerenza filologica”: sceglie fonti ben precise, le compara, le analizza, con lo scopo di spiegarle più a fondo, di piegarle a una ragione nascosta. Sceglie tra tutte le storie che la Grecia ci ha consegnato, “le maschere del poeta”, tutte quelle figure che portano con sé la ferita, il taglio dal quale nasce la poesia. E' sempre una frattura quella che genera la poesia: quella primigenia tra i nomi e le cose, che ci impone di rinominarle infinite volte alla ricerca del vero significato, della possibilità sempre lontana di saldare lo iato, poi quella tra i tempi della vita, tra desiderio e rimpianto, tra speranza e nostalgia, sempre sospesi al di qua o al di là del presente, poi tra noi e gli altri, tra noi e e noi stessi. Da queste fenditure nasce la poesia, o meglio sgorga, come linfa dalle fessure dei tronchi, come le figure, questa volta al di là di ogni vuota e scontata metafora, pensate da Miredi: da un tronco spaccato nasce Adone, un corpo disfatto in un riflesso d'acqua è Narciso, il fegato aperto è il segno di Prometeo, i piedi lacerati quelli di Edipo, una testa staccata dal corpo quello di Orfeo. Miredi ci persuade che solo da un corpo aperto, da un corpo che sanguina, nasce la poesia. E tutto il suo percorso, che si legge nell'ordine in cui dispone le maschere del poeta, tende a disegnare esattamente questo concetto: da Adone, nato dalla ferita di un albero, lui stesso squarciato nel fianco bellissimo da un cinghiale innamorato (il lutto della bellezza). A Narciso, che perde il suo corpo nell'acqua, nella contemplazione della conoscenza (la morte nello specchio della conoscenza), a Prometeo, che si offre al martirio dell'acqua che gli divora il fegato ogni giorno (il dono e il supplizio del fuoco). Poi Edipo, il cui nome significa “dai piedi gonfi”, e la cui storia è quella, ci dice Miredi dell'Innocenza della colpa sacrificata. Chiudono il corte di maschere Ermes ed Apollo in coppia con Dioniso: apparentemente liberi dalla ferita e dal sangue, ma anch'essi segnati da una ambiguità importante, che Miredi mette in luce, titolando i capitoli relativi dell'invisibilità dell'opera e “il doppio oscuro luminoso”. Si tratta, a ben vedere, di una scoperta rappresentazione dell'opera d'arte, un'analisi che, sotto il velo lucente della mitologia greca, mette a nudo l'idea stessa di poesia.Parte dalla superficie del compiacimento estetico, da Adone, la bellezza, l’ordine, l’armonia che è propria dell’opera d’arte anche quando parla di morte e sangue, poi la tentazione di Narciso, Prometeo, e Edipo, tutti tesi verso un viaggio di conoscenza sempre più profondo: dal semplice riflesso dell’acqua, che è la prima conoscenza di sé (e che richiede un sacrificio immenso, la perdita del proprio corpo), alla conoscenza intesa come arte, tecnica, scienza, qual è quella che Prometeo concede agli uomini, pagandola con la tortura dell’aquila, fino alla conoscenza della morte, di chi ci ama e di chi amiamo, ma anche di noi stessi, attraverso Orfeo che non solo vede morire due volte la donna che stava per diventare sua moglie, ma, testa smembrata dal corpo e affidata alle acque sembra contemplare quasi un privilegio inaudito e sconvolgente, la propria morte. E poi Edipo, conoscenza intuitiva e profonda della storia dell’uomo (attraverso l’enigma) e conoscenza devastante della propria (attraverso passi terribili compiuti senza saperlo).Come Narciso attinge a se stesso attraverso un’illuminazione improvvisa e sconvolgente capace di annientare: non è solo più conoscenza di un corpo perfetto, ma di un’anima condannata, che troverà nella cecità, nel sacrificio alla prima percezione, forse la più superficiale potremmo concludere, l’unica consolazione e l’unico modo di percepire il mondo. E dal farsi dell’opera attraverso armonia e conoscenza si giunge all’opera stessa: Ermes, che è invisibile e nasce furfante, e Apollo e Dioniso due volti dell’estasi creatrice, di matrice nietzschiana. Entrambi, come si diceva, ambigui: Ermes perché pone l’opera sotto il segno del furto (ma quanto ci insegna la storia letteraria sull’importanza di rubare a un codice) e dell’invisibilità (l’opera a volte tace, non riesce a far sentire la sua voce e vaga invisibile per il mondo, fino a quando non trova orecchie disposte ad ascoltarla. E quanti destini postumi potremmo raccontare a capolavori immensi!) Apollo e Dioniso a ricordare che tutta l’armonia del mondo che un autore riesce a bilanciare in un’opera sono il frutto il più delle volte di un oscuro lavoro, illuminato sì dai bagliori del talento e dell’ispirazione, ma anche ferito dalla fatica della stesura, della composizione. Ogni autore sorride alla fine della propria pagina, quale che ne sarà il destino e questa è la luce che nessuno potrà togliergli; ogni autore e un po’ un angelo ferito, un lampo di intuizione (l’ala) da imbrigliare e costringere (a volte per fortuna, forzando felicemente le convenzioni ) alle leggi di una lingua, di una tela, di un codice musicale: ed è questa una fatica che ferisce e consola. Il mito greco sopporta anche questa lettura: Miredi ce la offre in pagine piane, che hanno spesso il gusto filologico (questo sì) del procedere a ritroso: ogni storia è narrata con un’attenzione raffinatissima alle cause prime, ogni mito ha radici forti in ciò che lo procede, ogni gesto ha una ragione in un gesto passato. E così chi vuole attraverso il libro per rileggere un’altra volta i miti, trova una ragione in più per apprezzare queste pagine. Per Adone si torna indietro fino a Mirra, sua madre, incestuosa amante del padre, invasata da Venere, che a sua volta si innamorerà di quel fanciullo dal corpo velocissimo e luminoso; per Narciso si racconta tutta la storia di Eco e anche la variante della sorella gemella Narcisa e così via, per giungere al capitolo su Apollo in cui in un intreccio orchestrato con toni da romanzo si ripercorrono le storie più importanti dell’Olimpo, da Leto a Pito, fino a Deucalione e Pirra. E questo racconto che rimbalza all’indietro offre al lettore un punto di vista diverso, un orizzonte più ampio, dal quale tutte le storie già note si legano in una costruzione perfetta, dove le cause e gli effetti si rispondono come gli armonici di una nota, che salgono di frequenza fino a non riuscire quasi più a percepirli, ma colmando delle proprie vibrazioni tutti i suoni che invece giungono alle nostre orecchie. Ogni volta che proviamo a raccontare una storia già scritta non la ripercorriamo mai con innocenza e in modo disinteressato: così Miredi, dicendo ancora una volta i miti greci orchestra le sue voci in un orizzonte nuovo, ampio e segnato da complesse interferenze, offre una sua teoria della poesia e mediata dalle figure mitologiche e forse, di nascosto ma neanche troppo, ci mostra un po’ di sé.
Ilaria Gallinaro


   Antonio Miredi, L'Angelo ferito. Le maschere del poeta. Torino, Omega Edizioni 

domenica 29 maggio 2011

Rolando e il suo cavallo sono tornati a Roncisvalle

                                                           da Histoire de France 1875

"Orlando sente che la morte lo invade / dalla testa sul cuore gli discende. / Sotto un pino se ne va correndo / sull’erba verde s’è coricato prono / sotto di sé mette la spada e il corno..."
Chi non ricorda i versi immortali della Chanson de Roland nella traduzione italiana che ci arrivava felice, sui libri di Scuola Media? Il suono del corno di Rolando invano cervava soccorso,  e la morte dell'eroe come un martire cristiano, arrivava  per fa piangere di nascosto i nostri cuori di ragazzi. Di Rolando sapevamo il nome del suo corno, Olifante, della sua spada, Durlindana, ma il suo cavallo non aveva nome. Impossibile per un Cavaliere avere un cavallo senza nome. La ricerca non è sembrata vana. Il cavallo di Rolando si chiamava Vegliantin italianizzato Vegliantino, e almeno così ci dice la voce arrivata da una bottiglia del mare di Internet.
La morte di Rolando e del suo cavallo sono stati per anni le cantate narrazioni di strada dei Pupari; ma fin dal primo apparire  dell'antico  manoscritto medievale, in francese antico, artisti e poeti in tutta Europa l'hanno evocata. E continuano ad evocarla.
Nei primi giorni di primavera, una domenica  a Torino, in una via del centro pedonale aperta alla libera esposizione di pittori e sculturi, ho incontrato Mario Bassi che esponeva una scultura in fibra di vetro, ad altezza naturale, di Rolando morente insieme al suo cavallo. Un'opera di grande impatto e forza plastica. Ed è stata l'occasione per conoscere la storia affascinante di questa opera d'arte. Bassi nella sua ritrosia e modestia non vuole essere chiamato maestro artista, l'arte è una passione che integra la sua abituale occupazione nel Verbano dove  ama vivere con i suoi cavalli, ma tant'è, la storia e il valore dell'opera restano indiscutibili.
La storia ora ha avuto una tappa importante del suo viaggio: l'opera è arrivata finalmente a Roncisvalle, lì al confine tra la Francia e la Spagna dove Rolando morì, pronta ad accogliere tutti i viandanti che si recano a piedi, in bicicletta, o a cavallo, a Santiago di Compostela, perchè Roncisvalle oggi è un piccolissimo agglomerato proprio sul sentiero che porta al famoso Santuario votivo. Nella sua modestia l'artista oggi è felice di questo ritorno di Rolando e il suo cavallo a Roncisvalle e  con diversa  modestia  anche la Galleria d'Arte  AM_ART oggi è altrettanto felice di dare la notizia in anteprima in Italia e nella planetaria Blogosfera.
Antonio Miredi


  la scultura di Bassi  posata a Roncisvalle  ( foto Bassi)


                                                                   foto Bassi


la targa ad immortalare l'evento (foto Bassi)


                                                        l'opera di Bassi  vista da vicino (foto Bassi)

  (è vietata riproduzione di testo e foto senza citazione degli  autori e della  fonte)

sabato 28 maggio 2011

Susanna Parigi, un coerente percorso di musica e parole


recensione Antonio Miredi

Il suo ultimo Album, "La lingua segreta delle donne", ha riportato Susanna Parigi alla meritata attenzione che si deve verso chi, fin dal suo esordio ha "scalato" la verticalità della musica e della parola.
Musicista, autrice, cantante, compositrice e sempre pronta ad accogliere e farsi accogliere dai talenti più vari come dimostra un suo lontanto ma ancora freschissimo  secondo Album "Scomposta" uscito nel 1999, a cavallo  di un finesecolo che era anche un finemillennio. E che si avvaleva della sensibiltà musicale di Kaballà e dell'acume filosofico di Umberto Galimberti.
"La decima porta" inserita in quell'Album è un lungo  intenso e metaforico pezzo musicale il cui titolo ha già un rimando fantasmatico.


"Sarò cibo per te
Perché tu abbia
Incontenibile fame di me.
Sarò profumo per te
Per entrarti dentro
Fino ai pensieri.
Sarò il bene supremo per te
Per darti la soddisfazione di corrompermi.
Sarò la decima porta per te
per darti tempo amore,
mi riempirai di rose,
e mi sussurrerai.
Sarò sorella per te
perché tu abbia un amore
incestuoso con me.
Sarò grotta per te
per accogliere
il tuo caldo fiume.
Sarò fine di un sogno per te,
quel sogno anche un po' infantile
di esser buono e
sarò il nemico che lotta con te,
sarò per farmi uccidere
da questo amore che
di spalle mi colpirà.
Io sarò un incanto segreto,
un fiume di lava
che scioglie il tuo gelo;
io sarò un rifugio segreto,
un posto speciale,una nicchia di cielo;
io sarò, io…
Sarò la mano per te,
l'adolescente mano
del tuo piacere.
Sarò uomo per te
per poterti entrare fino ai pensieri.
Sarò dolce bilancia per te
di quanto pesa il desiderio
di sentirmi e sarò la lingua che arpeggia su te
sarò come su corde tese,
sulle tue vene roche,
come una musica.
Io sarò un incanto segreto,
un fiume di lava
che scioglie il tuo gelo;
io sarò un rifugio segreto,
un posto speciale,
una nicchia di cielo;
io sarò, io… sarò la lingua che arpeggia su te
sarò come su corde tese,
sulle tue vene roche
come una musica"
(Testo e musica di Susanna Parigi)

  La porta tra evocazione mestafisca e surreale del grande artista Magritte

"Sarò la decima porta per te"




                                                              opera dell'artista Atonio Carena

"io sarò un rifugio segreto,
un posto speciale, una nicchia di cielo"



                                                        caricato da  frAgileNota risorsa YouTube


           ancora Magritte a fare  schermo all'incanto di una voce che celebra eros più celato








La lingua segreta delle donne





recensione di Antonio Miredi

Ha così un forte richiamo letterario, l'ultimo Album di Susanna Parigi, che è facile per chi ha in mente il libro di David Leavitt "La lingua perduta delle gru", scivolare in una sovrapposizione dell'aggettivo perduta-segreta.
Non dunque "La lingua perduta delle donne" bensì "La lingua segreta delle donne" il titolo della quinta "fatica" musicale della  cantautrice. E Susanna Parigi, per sua stessa ammissione, con fatica ha lavorato sulla sua voce dal momento che musicalmente nasce come soprano.
Il tempo le ha dato ragione, la sua è una voce capace di modulare tutta la variopinta e mutevole gamma della sensibiltà femminile.







Ad aprire l'Album è "Liquida" un intenso brano che inizia con un recitato di Lella Costa che con Gianna Schelotto, Pamela Villoresi, Teresa De Sio, Curzia Ferrari, Nerina Morotti arricchiscono il cd di un abbarccio al femminile in una coraggiosa e forte difesa della dignità di tutte le donne: "Mai come in questi ultimi tempi necessaria" stando alle stesse parole della sensibile interprete.

“Mi hai detto
che dalla terra
degli Abitatori dell’orizzonte
tu hai preso un pigmeo
capace di danze divine.
Vieni al Nord
al mio Palazzo
e portamelo subito”

Dalle donne della mia famiglia
ho ricevuto il tempo,
tempo dell’apocalisse,
tempo della trasformazione.
Il viaggio nel tempo.
Liquida,
una vita liquida.
Dalle donne della mia famiglia
so com’era il mondo.
Togliere le scarpe
quando c’era fango,
l’acqua del pozzo e il canto.
E si abbracciavano spesso
nel buio e nel vento
in girotondo.
E io, io
se allargo a croce le mie braccia io
vado avanti e indietro nello spazio e sono,
fui e sarò.
Dalle donne della mia famiglia ho ricevuto il dono.
Il segreto del silenzio e la potenza
dell’immaginazione.
Il viaggio nel tempo.
Liquida,
una vita liquida.
Dalle donne della mia famiglia
so com’è profondo
il legame con il bosco
e con il cielo;
che di bugie si veste il nero.
E che amavano stare
dentro gocce di sale
in fondo al mare.
“Affidiamo le nostre vite
solo a coloro che conoscono
il giusto peso della farfalla
e la formula delle coincidenze.
Se vi aspettate che qui ci si
accontenti di qualcosa di meno
la nostra lingua rimarrà
per voi sconosciuta,
come il silenzio perfetto”









"Liquida": per lasciarsi  trasportare dalla liquida  sensuale purezza di cuore e di voce della cantautrice

venerdì 27 maggio 2011

Le Sirene di Vinicio

                                                          da antico vaso attico


Le Sirene ci arrivano dal lontano Omero il quale  le ha evocate nell' ODISSEA. Nel poema immortale non hanno precise sembianze ma sono semplicemente cantatrici marine  abitanti un'isola del Mediterraneo e che nel canto sanno cone attirare e portare alla morte gli ignari sedotti naviganti.E le Sirene della'aritista Vinicio, arrivato in testa alla classifica degli Album più venduti in Italia dimostrando che ora il vento soffia favorevole alle cose che hanno la bellezza di un capolavoro, ecco, come sono le Sirene cantate dal cantautore Capossela? Da dove arrivano, da quali suggestioni e ispirazioni l'artista  si è lasciato sedurre?

                                                    una sirena secondo il pittore Max Klinger


                                                         Le Sirene cantate da Vinicio Capossela

"(......)

Le sirene
ti  assalgono di notte, create dalla notte
han conservato tutti i volti che hai amato e che ora
hanno le sirene
e ti cantano in coro e non sei più solo
sanno di te
e il meglio di te
è un canto di sirene
e si sente nel rimpianto
di quanto hai mancato
quello che hai intravisto e non avrai
loro lo danno solo col canto

(........)

Le sirene
non cantano il futuro, ti danno quel che è stato
ma il tempo non è gentile
e se ti fermi a ascoltare, ti lascerai morire
perchè il canto è incessante
ed è pieno di inganni
e ti toglie la vita
mente la sta cantando
Uu ùùùùùùùùùùùùùùùùùùùù"

La canzone ci arriva con una musica dolce e soavemente civettuola e nel cd contiene  dopo una certa attesa la traccia fanciullesca e beffarda di un breve ritornello in serenese (lingua tutta da capire  e inventarsi), prende e cattura seppure nella consapevolezza che le sirene sono inganni, inutili attese e che  ci rubano il futuro, con la loro malìa nel cantare del passato e  nel dare solo il "nulla" dela morte.
"Liberarsi dalle afflizioni della speranza, giacchè l'attesa è tessitrice di inganni" è già un'aforisma dell'artista! Ma quando il canto è così arrendevolmente bello, come liberarsne? Legandosi ancora a un albero maestro? E del resto lo stesso Vinicio nella sua recente intervista rilascia a XL di Repubblica ha confessato al mondo: "Ero con l'acqua alla gola, circondato da mostri, mi ha salvato una...SIRENA"

                                            
   La bellissima  Sirena del  simbolista pittore Aristide Sartorio alla GAM di Torino


    Una sirena catturata della Rete: da dove arriverà? La domanda attende  possibili risposte.


                                                     (caricato da bunkertascabili risorsa Youtube)
                               

Dar canto a un filo d'erba



"COME FAR SUONARE UN FILO D'ERBA" Conoscere e giocare  con i segreti  della scienza da giardino": Con questo poetico slogan il Museo AcomeAmbiente di Torino, in queste giornate di caldo estivo, invita tutti, grandi e bambini, sabato 28 e domenica 29 maggio  2011, a giocare con la natura, aprendo i propri spazi.  Laboratori con diverse isole tematiche, giochi in giadino  e sul grande terrazzo all'aria aperta...Un invito non solo per amare di più il pianeta che abitiamo attraverso l'ambiente in cui viviamo ma per scoprire mille curiosità, mille incanti, mille sorpese.
La Natura ha le sue voci: suoni e rumori. Coì il Museo farà  "suonare" un Filo d'erba!

a Torino Corso Umbria  84/90   Tel 011.0702525    sito www.museoambiente.org





FILO D'ERBA


Il freddo intenso del mattino
ha soffiato il suo cuore 
d'erba sbattuta dal vento.

Rimarrà verde
anche nei giorni dell'arsura
filo senza fiore 
 che cattura corone insibili.

La sua rugiada
è una campana di vetro
da dove avere visioni
essere visti
eppure mancare.

da ECHI DI ERESOS, di Antonio Miredi, Omega Edizioni 1997






giovedì 26 maggio 2011

L'anima della forma in Daniele Miola






E’ stato un feticcio scultoreo o un segno pittorico la prima testimonianza artistica dell’umanità primitiva? Quello che conta davvero, nella possibile risposta a questa domanda, è il ricondurre l’esperienza creativa primigenia alla sua essenziale traccia sacrale.
Alla radice di ogni traccia magico-sacrale troviamo la matrice della fertilità della Natura.
La ricerca scultorea di Daniele Miola, perché di ricerca si tratta e non di semplice pratica artistica, è stata sempre vista attraverso la sua lettura simbolica che permette alla forma arrotondata di essere il trionfo di un archetipo femminile votato alla maternità.
Il richiamo alla antropologia matriarcale e il riferimento alle veneri preistoriche, sono lo scoperto percorso di una storicizzazione stilistica. E tuttavia tutto questo non ci deve allontanare da una cifra squisitamente contemporanea che dell’artista.
La cifra contemporanea  si manifesta più come intento filosofico che rimando simbolico, più come concettuale ricerca che richiamo di una divinità arcaica.
La circolarità della figura scolpita non è infatti epifania solo di una linea tondeggiante ma incarna l’ambiguità stessa di ogni forma capace di essere allo stesso tempo segno concavo e convesso, sinuosità e spigolosità e, per metafora, ma mica tanto, valenza maschile e femminile.
La fertilità. d’altra parte, non è esclusività femminile ma scambio reciproco di seme e grembo, l’incontro appunto “circolare” di una copula.
La ricerca di una purezza visiva e di una essenzialità permette quella sorta di “miracolo” artistico per cui ciò che è antico è allo stesso tempo contemporaneo.
Nel suo lavoro di scultore Miola predilige il marmo, sia bianco che nero, e questo può essere considerato come conferma di un suo approccio non viscerale della materia. La levigatezza del marmo, la sua lucentezza e durezza, ma anche la sua apparente freddezza ne fanno un materiale, rispetto per esempio al legno o alla terracotta, più mentale, più formale.
E non è un caso che l’idea filosofica di forma coincida già ai tempi della filosofia aristotelica con il concetto di anima.
L’anima della forma in Miola è come un disvelamento: un percorso “sospeso” tra passato e futuro, presenza ed assenza, idea e silenzio, rito e preghiera laica.
E tutto dentro una invisibile musica di sensualità stilizzata ma non per questo priva di una sua ardente fiamma vitale.

Antonio Miredi


martedì 24 maggio 2011

Epifania di divinità: rivisitazioni da Saffo

                                                         La Saffo classica 

φαίνεταί μοι κνος σος θέοισιν
μμεν' νηρ, ττις νάντιός τοι

σδάνει κα πλάσιον δυ φωνεί-
σας πακούει
κα γελαίσας μέροεν, τό μ' μν
καρδίαν ν στήθεσιν πτόαισεν,
ς γρ <ς> σ' δω βρόχε' ς με φώναισ'
οδ' ν τ' εκει,
λλ' †κμ μν γλσσα †αγε λέπτον
δ' ατικα χρι πρ παδεδρόμηκεν,
ππάτεσσι δ' οδν ρημμ', πιρρόμ-
βεισι δ' κουαι,
†έκαδε μ' δρως [ψχρος] κακχέεται τρόμος δ
πασαν γρει, χλωροτέρα δ ποίας
μμι, τεθνάκην δ' λίγω 'πιδεύης
φαίνομ' μ' αται·
λλ πν τόλματον πε †κα πένητα†


Si sente pari agli dei quell'uomo
che siede di fronte a te e da vicino ti ascolta
parlare dolcemente, ridere di un riso
che suscita il desiderio;
cosa che a me davvero
fa sussultare il cuore nel petto.
Non appena, infatti, ti vedo un istante,
non riesco più a parlare,
ma la lingua mi rimane spezzata, un fuoco
sottile scorre sotto la pelle,
con gli occhi non vedo nulla, un rombo
nelle orecchie,
un sudore freddo mi avvolge, un tremito
mi prende tutta, sono più verde dell'erba,
mi sento di poco lontana dall'essere morta.
Insensata ...
  
 Traduzione di Paola Novaria


  La Saffo neoclassica di Andrea Gastaldi


Epifania di divinità
il mirare senza  staccare degli occhi
il cuore come di bimbo ha sussulto
mentre manca parola del tutto
 pelle ha il bruciore dei fuochi
suono d'orecchie nel rombo par perdersi
mentre dentro  riso di narciso
 felice danza il suo  rito
 specchio di  luminoso viso
quando poi  sopraggiunge tremito
e si tinge di bianco pallore
così  di moira  immortalità
nell’estasi può  anche congiungersi
ma è il raccolto sopruso  di Amore.

 (libera rivisitazione di Antonio Miredi)


                                                               

Le Gru di Origami il manifesto augurale del Festival Cinemambiente 2011


Origami è l'arte di creare stilizzate figure di fiori e animali, con la semplicità di fogli di carta quadrata. I fogli possono essere bianchi o colorati dando libero volo alla fantasia.
Nell'anno del terremoto e dell'esplosione  delle centrali nucleari in Giappone, il 14° Festival Cinemambiente che si apre a Torino dal 31 maggio fino al 5 giugno 2011, ha preso spunto dalle Gru di Origami per realizzare un Manifesto Omaggio al Paese così duramente colpito.
In Giappone  la creazione di origami ha il significato  augurale di una vita lunga e di una pronta guarigione. E' stato il romanzo di Karl Bruckner, " Il grande sole di Hiroshima" a far conoscere al mondo la tradizione di questa forma particolare di arte popolare, raccontando la storia della piccola Sadako sopravissuta alla esplosione  atomica dell'ultimo conflitto mondiale.
Il Festival invita tutti idealmente a condividere lo spirito di solidarietà e attenzione alle sorti del nostro pianeta, partecipando alla costruzione di origami. Istruzioni  e programma dettagliato nel sito del Festival.
Un festival Cinematografico, piace ricordare, fra i più originali e ricchi di sensibiltà attraverso la proiezione gratuita di film, cortometraggi e documentari dedicati all'Ambiente.
   Sito del Festival:  www.cinemambiente.it

domenica 22 maggio 2011

Le Muse hanno soffiato sul mito di Rodolfo Valentino


"RODOLFO VALENTINO. Una mitoloia per immagini"  nacque da una felice intuizione di Chicca Gugliemi Morone, italiana parente scrittrice del "Divo Immortale" della Decima Musa, il Cinema, ed ebbe il battesimo editoriale   durante il Salone del Libro del maggio 1995. Un libro oggi raro, prezioso, conosciuto a livello internazionale nella cerchia di storici, studiosi,collezionisti e  incorregibili fedeli ammiratori.
Il libro ha aperto uno spartiacque nella criticai interpretativa cinematografica  riconoscendo al divo tutta la sua dignità di attore e la fascinazione capace di andare oltre la banalità e il kitsch, come ha messo ben in luce il primo grande Convegno Internazionale su Rodolfo Valentino, tenuto proprio a Torino.
Giuseppe Conte ha dedicato al libro una suggestiva  e acuta introduzione che nel tempo dimostra la sua  dirompente forza mitomodernista.


“…Valentino ebbe dunque un approccio mitico alla vita, e divenne lui stesso un mito. Se a distanza di tanti decenni dalla morte si continua a parlare di lui, e se al di là dei suoi stessi film la sua immagine e il suo nome hanno preso connotati esemplari, e il suo nome stesso una specie di venatura antonomastica, come Adone o Casanova, vuol dire che Valentino non è stato soltanto inventato a Hollywood con la celluloide e la carta di giornale; vuol dire cioè che non è stato soltanto uno di quei tanti “miti d’oggi” mistificanti e falsi di cui ci parla Roland Barthes, ma che ha visto confluire in sé gli elementi oscuri con cui i miti veri, quelli che hanno profondità e anima, da sempre si costruiscono.
A leggere la vicenda di Valentino, gli elementi di mitizzazione sono il sesso, la morte precoce, l’ambiguità.
Valentino seduttore porta in America un modello europeo, una sontuosa sintesi di mediterraneità (il padre e la nascita pugliese) e di aura francese (la madre): un modello che aveva qualcosa di già superato in Europa, dove negli stessi anni impera il Futurismo e il nuovo modello di seduttore, dinamico e anti-sentimentale e imperioso è fornito dal Martinetti di Come si seducono le donne. Semmai c’è in Valentino-Sceicco qualcosa del travestimento sensuoso e languido di certo figure dell’estetismo dannunziano. L’ambiguità della sua bellezza, metamorfica, androgina, fuori tempo; l’ambiguità, il senso di mistero e di sospetto che regna intorno alla sua morte precoce, come per Marilyn Monroe, tanti anni dopo: sono questi i fattori che hanno permesso a Valentino di varcare il tempo, e di essere non soltanto nella storia del cinema, ma nella storia dell’immaginario collettivo novecentesco.
Nelle pagine di questo libro, il lettore troverà una originalissima interpretazione della figura di Valentino: i due autori, Chicca Morone e Antonio Miredi, hanno avuto il coraggio, trattando di un attore di cinema, di un adepto della Decima Musa, di convocare tutte le altre, di inscrivere l’oggetto della loro ricerca (e della loro passione) sotto il patrocinio delle dee che presiedevano, in tempi più felici dei nostri, a tutte le arti. Le Muse, ebbe a dire Borges, sono “ciò che gli Ebrei e Milton chiamarono lo Spirito e la nostra triste mitologia chiama Subcosciente”. La veramente triste mitologia del secolo che muore ha troppo spesso riportato tutto al subcosciente, o inconscio. Oggi noi possiamo rivendicare piuttosto alle Muse uno spazio autonomo di ricchezza, di sovrabbondanza spirituale, o quello spazio “immaginale” che tanto è importante per capire la realtà di ogni nostra iniziativa creativa. Le Muse ridiventano forze viventi, correnti e nodi  di energia, dalla cui luce veniamo chiamati…”
(Dall'Introduzuione di Giuseppe Conte, a "Rodolfo Valentino.Una mitologia per immagini "di Chicca Guglielmi Morone e Antonio Miredi, Libreria Petrini Editore, Torino 1995 )




         Una poco conosciuta fotografia di Rodolfo Gugliemi in arte Rudy Valentino


sabato 21 maggio 2011

La Lancia del Pelide e la Spada di Narciso


"La lancia del Pelide/ Magico dono/ Per un verso ferisce, per l'altro guarisce..". Sono i versi della canzone che l'artista Vinicio Capossela ha voluto inserire nella sua canzone più dichiaratamente d'amore dell'ultimo Album, e suonano a pima vista strani e misteriosi se pensiamo solo al significato guerresco cantato da Omero nell'Iliade.
Se invece  si prova a collegare il testo all'abisso  che i miti raccontano in modo parallelo, pur attravrso mille maschere e mille varianti, l'elemento simbolico ci aiuta a comprendere il suo signifiato più profondo. Il significato meno ambiguamente ricordato dal mito di Achille ci ricorda come la famosa lancia del Pelide, durante la battaglia di Misia, ferì Telefo, il quale dovette ricorrere all'oracolo di Delfi per avere il responso sula sua ferita perennemente aperta. Il responso rivelò che la guarigiaione poteva venire soltanto dalla lancia che la inflisse. Il sighificato più profondamente simbolico, invece, inevitabile  richiama la figura di Narciso, il cui mito banalizzato ha  invece una storia ben più complessa e in cui non compare solo l'infelice Eco.

                                                      Narciso di Caravaggio


"La Bellezza  di Narciso  arriverà a conoscere la Vecchiaia? questo aveva domandato la madre Liriope all'indovino Tiresia . "Si- fu la risposta- se non  conoscerà se stesso!"
Non è stata affatto la superbia  a far annegare Narciso, è stata la conoscenza, la propria smisurata, abissale autoconoscenza. Allo stesso modo, non era stata la superbia insensibile  a regalare  ad Amenìa una spada.
Anche Amenìa spasimava d'amore  per Narciso, e lo sottoponeva a una corte spietata, insopportabile: mai un gesto diretto, una parola o uno  sguardo chiaro. Solo estenuanti lacci senza la volontà e accettazione di una debolezza. Stanco ma non per questo insensibile, in un gesto di grande generosità, Narciso mandò al suo lontano ammiratore una spada, e questi, preso dalla disperazione, se ne sevì per uccidersi.
"Maledizione alla Bellezza", fu la sua risposta: giusto il tempo per un ultimo sputo  verso il cielo.
La spada è lama che  uccide e lama con cui ci si può dare la morte. La spada è lama che separa ma per paradosso la lama riflettente e speculare, è unione. Amenìa non aveva capito il significato simbolico di quella spada. Cercava l'amore senza simboli, senza cioè la metà di sè, ma non può esserci amore semza simboli.
Eppur Amenìa, amante infelice, la cui morte non attraversa la conoscenza  giacchè nel suicidio sfugge alla  propria visione  creatrice, ci aiuta a suo modo, indirizzandoci con il suo sacrificio verso la primigenia dualità che presidia e fonda l'amore. Il dio che viene in soccorso alla maledizione dell'infelice in amore non è Nemesi ma Anteros, il dio fratello simmetrico e opposto a Eros."
( da L'Angelo ferito di Antonio Miredi, Omega Edizioni 2004)



 
Una statua raffigurante Anteros creata da Alfred Gilbert nel 1885; collocata in Piccadily Circus , a Londra (da VikipediA)

venerdì 20 maggio 2011

Il pianto dei poeti


Il pianto dei poeti è simile al pianto di ogni umana creatura: pianto con la stessa dignità, intensità di dolore, pudico rispetto. Di diverso, il pianto dei Poeti ha solo  il suo tramutarsi e offrirsi pubblico Canto o Acqua capace di genuflettersi davanti Amore.
 Antonio Miredi

PIANTO DEI POETI

Ruba a qualcuno la tua forsennata stanchezza
o gemma che trapassi il suono
col tuo respiro l'ombra che sta ferma
di fronte ad un porto di paura
quel trascendere il mito
come se fosse forzatamente azzurro
o chi senza abbandono
che non sanno che il pianto dei poeti
è solo canto.
Canto rubato al vecchio del portone
rubato al remo del rematore
alla ruota dell'ultimo carro
o pianto di ginestra
dove fioriva l'amatore immoto
dalle turbe angosciose di declino
io sono l'acqua che si genuflette
davanti alla montagna del tuo amore
            Alda Merini 


 
photo by Corrado Tripicchio


"o pianto di ginestra
dove fioriva l'amatore immoto"




giovedì 19 maggio 2011

Il nuovo singolo del Professore Poeta

Un nuovo singolo in cui mettere ancoa a nudo il cuore, "Mi porterò" tratto dall'ultimo Album del cantautore Roberto Vecchioni il vincitore del Sanremo 2011. Un piccolo scrigno di ricordi, immagini, parole, emozioni, da portarsi via anche
"quando il vento e la vela tradiscono,
ma paura di perdermi non ne ho e dove andrò"


“…questo tempo d'amare non chiedo quanto durerà;
non lo so se è meglio vivere che scrivere,
so che scrivo perché forse non so vivere,
per conoscere l'oscurità prima che faccia buio;
tu non credere che al buio non ci pensi mai,
ma mi dura solo un attimo e svanisce sai,
e paura di perderti non ne ho e dove andrò….."



"Mi porterò
tutti i poeti che hanno pianto per amore!




"mi porterò
il soldatino che non rimaneva in piedi
e che è il più bello se ci credi"






" mi porterò
i cavalli che hanno perso per un niente
e sempre primi nella mente;
li porterò" 














                                                             ben illustrato da gnomo62 risorsa YouTube

mercoledì 18 maggio 2011

La cosa pù bella

                                                      dipinto pompeiano detto " Saffo"


Nella Babele di parole dette e stampate, nella confusione delle persone, nel vortice delle immagini...il Salone Intrnazionanale del Libro a Torino lascia la posibilità di  portar via con sè in decantazione le parole che poi non si dimenticano e ci restano dentro.
Parole che a volte sono anche  la citazione di una poesia in forma di domanda.

Qual è la cosa  più bella?

Chi cavalieri a schiera, e chi fanti, 
chi navi, dice, sula nera terra
sia la cosa più bella, ma io dico:
ciò che uno ama...

"Qual è la cosa più bella?": è la domanda anche di altri poeti del suo tempo, poeti inguaribilmente filosofi anche essi, come tutti i greci antichi, gente "malata" che non dormiva la notte perchè tormentata da angosciosi dilemmi di questo genere....Noi latini non abbiamo mai particolarmente sofferto di una tale sindrome, la sindrome degli interrogativi profondi: chi? cosa? perchè, come? a quale fine?...la notte poi...Ad essenzializare c'è sempre  stata a cuore  una sola domanda: "Io che ci guadagno? che me ne viene?" Deve essere stato un colpo per i latini vedere per la prima volta un filosofo greco, animale esotico che suscitava curiosità e disprezzo insieme, come ci attesta, ad esempio, Plauto: "E questi greci che vanno camminando intabarrati con la testa  tutta ravvolta nel mantello e vengono avanti carichi di libri e di sporte, e si fermano e attacano discorso...e ti stanno tra i piedi e non ti lasciano camminare, e fanno la ruota per istrada con i loro paroloni, e li vedi sgargarozzare al bar a tutte ore..."

(dal libro di Giuseppe Micunco, Saffo e la lirica Monodica.La cosa più bella, Stilo Editrice)

                                                  una immagine romantica di Saffo

 

lunedì 16 maggio 2011

La riscoperta delle piccole collane di carta

La Puglia è la regione d' Italia più esposta verso il mare di Grecia e non a caso con la Calabria e la Sicilia vanta la memoria gloriosa di essere stata un'area della Magna Graecia.
Una Casa Editrice pugliese come  Stilo Editore non poteva non avere, all'interno del suo originale catalogo, una collona ispirata all'Ellade. La  "Piccola Letetratura Greca" con 8 titoli all'attivo, tutti dello studioso Giuseppe Micunco, ci spalanca verso gli orizzzonti che sono stati la culla della nosta Occidentale Civiltà, facendoci riscoprire la bellezza di una sciruttura votata alla bellezza della forma e del pensiero.
E l'occhio, non insensibile a questi valori, si è fatto subito catturare dal piccolo amabile volume dedicato a "Saffo e la Lirica Monodica".



"Nella mutata situazione socio-politica, determinata dalla seconda colonizzazione (VII-VI sec. a.C.), nasce una nuova poesia che ci attesta una ricerca di motivazioni, di riflessione, di senso. Questo lavoro ricostruisce la lirica del ‘canto a solo’ intorno all’interrogativo posto da Saffo (ma che è anche degli altri poeti) circa ‘la cosa più bella’, quella che rende la vita degna di essere vissuta, che sia l’eros del bello, l’amore e l’amicizia, la giovinezza, la forte sopportazione, il vino e la lotta politica, la poesia stessa. Non conta più la comune opinione di una società che metteva al primo posto l’aretè, il valore guerriero, la gloria delle armi, per cui ideale supremo era morire in battaglia, magari per mano di un valoroso eroe... Conta la vita personale di Saffo, conta l’uomo, ogni uomo, con tutte le sue passioni e debolezze."
 (dal risvolto di copertina del volumetto di Giuseppe Micunco)