mercoledì 28 maggio 2025
LUCI. SCENA. TEATRO
Una rubrica dedicata a tutto ciò che accade dal vivo, là dove il gesto, la parola e il corpo si fanno arte in presenza.
Uno spazio per raccontare spettacoli, condividere impressioni, svelare dietro le quinte, incontrare chi il teatro lo fa, lo reinventa, lo abita.
Recensioni, interviste, riflessioni, anticipazioni.
Non una cronaca, ma uno sguardo. Non solo giudizi, ma risonanze.
Perché ogni spettacolo – anche il più piccolo – accende un frammento di verità, illumina il tempo, trasforma chi guarda.
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SIBALDI SOTTO IL RIFLETTORE MA PINOCCHIO SFUGGE ANCORA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Domenica pomeriggio, Torino. Caldo estivo, la città piena di eventi, eppure il CineTeatro Baretti è gremito. Tutto esaurito. Biglietto a 20 euro. Merito di Sibaldi o di Pinocchio?, verrebbe da chiedersi. Forse di entrambi. Sibaldi, voce pacata e con sospensioni d'attesa, sale sul palco sotto la luce di un riflettore. Seduto tiene la scena con un’intelligenza seduttiva. Parla di Pinocchio, ma in fondo sta parlando anche di sé e del suo modo di leggere il mondo: con ironia, allusione, sincretismo.
Inizia con un aneddoto: il suo incontro con la più importante pinocchiologa italiana (senza farne il nome) a cui ha rivolto una domanda insolita — «Che rapporto ha Pinocchio con la virilità?». La studiosa, racconta, non ha colto l’allusione, nemmeno quando lui ha accennato all’allungamento del naso; forse non vuole o non sa rispondere Il pubblico ride. È un inizio saporito.
Ma presto si avverte che molti dei riferimenti, delle letture, delle chiavi simboliche che Sibaldi offre sono già noti a chi conosce il Pinocchio nelle sue stratificazioni più profonde: da don Giussani al cardinale Biffi, da Elémire Zolla a interpretazioni teosofiche, psicoanalitiche, teologiche.
La sua abilità, indiscutibile, consiste nel sincretismo narrativo: fonde suggestioni disparate e le restituisce con empatia, come un eretico affabulatore . È efficace, suggestivo. Ma non sorprende chi, per affinità di cuore e lunga consuetudine, ha con il burattino un rapporto di intimo studio e diletto.
In questo senso il paradosso è evidente: da un lato Sibaldi invita a diffidare degli esperti, a fuggire il dogma e l’autorità; dall’altro, finisce per proporre — con tono mite ma autorevole — una propria verità iniziatica, che affascina il pubblico come fosse l’ultima rivelazione. Si predica il sapere di non sapere eppure finisce per offrire una sua gnosi, un sapere privilegiato da iniziati.
Quando prova a raccontare la vita di Collodi, inscindibile con la sua favola, si allude ma poi non spiega. Rasentando il pettegolezzo, ricorda la scelta del fratello di distruggere le lettere giudicate compromettenti per molte donne della buona società fiorentina per affermare: “ Non è proprio così, a Collodi le donne non interessavano!” Un tono così perentorio non può essere lasciato nell'aria in maniera vaga.
Un pubblico attentissimo, va detto, partecipe e silenzioso per due ore di fila. Così assorto da non disturbare nemmeno il cane in platea, che — in un teatrale paradosso — si comporta da spettatore perfetto.
Forse è proprio questa la chiave del suo successo: una combinazione di voce suadente, atmosfera oracolare, sapere sincretico e leggerezza ben dosata. Una formula che nel tempo, tra libri, corsi, social, video e conferenze, ha creato un pubblico fedele: affascinato più dallo stile con cui si dice che dal contenuto stesso di ciò che si dice? E che infondo non emerga una idea del tutto originale,
Sibaldi lo evidenzia toccando l’ultima scena del romanzo-favola. Parla del momento in cui Pinocchio, ormai bambino, guarda il burattino inerte e dice:
«Com’ero buffo!»
Si sofferma sull’aggettivo, ne apprezza la grazia, ma non va oltre. Non sembra cogliere che lì, proprio alla fine, Collodi compie un gesto sapiente e decisivo.
Non una nuva e ultima metamorfosi, ma uno sdoppiamento.
Non c’è un Pinocchio nuovo che ha abbandonato il vecchio: c’è una coscienza che si volge indietro e osserva il proprio doppio, che resta lì, visibile, inerte, ma non morto.
Il legno non muore.
Pinocchio non si “completa”.
Resta in soglia, sospeso tra ciò che era e ciò che finge di essere.
La favola non si chiude: finge di chiudersi. E, in quel finto lieto fine, brilla l’astuzia dell’autore.
Chi conosce Pinocchio profondamente, senza volerlo ridurre a verità iniziatica o a parabola morale, sa che non si lascia afferrare una volta per tutte.
È sempre un oltre e un altrove.
Alla fine Sibaldi, per niente stanco- potrebbe continuare a parlare se non ci fosse un altro Pinocchio pronto a salire sulla scena come spettacolo di varietà- accoglie il pieno meritato applauso della sala gremita. È questo il suo gioco – il suo mistero narrativo sventolato con le parole leggere e le parole profonde.
(Antonio Miredi) ----------------------------
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Torino, CineTeatro Baretti. 1° giugno 2025-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------PINOCCHIO! IGOR SIBALDI- Evento speciale a chiusura del Torino Fringe Festival
Igor Sibaldi in attesa di salire sul palco per la Conferenza si Pinocchio (Foto ©a.m.)----------------------------------------------------------
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Dal cilindro di Flavio Albanese, Pinocchio con una e più voci -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Un solo attore, tante metamorfosi. È così che Flavio Albanese porta in scena Pinocchio al Teatro Baretti di Torino, per il Torino Fringe Festival: un'immersione scoppiettante di trovate dentro la favola immortale, rivisitata con la gioia del teatro di varietà, del mimo, dell’improvvisazione e della grande tradizione attoriale italiana.
Accanto a lui – o meglio con lui – un bellissimo burattino in legno snodabile, ricavato da un manichino, opera di un mascheraio sapiente: un Pinocchio lunare, metafisico, quasi un doppio silenzioso, che accompagna il trasformismo vulcanico dell’attore. Il burattino diventa specchio, complice, alter ego muto ma eloquente. E il teatrino stesso si fa personaggio, diventando teatro nel teatro, scena nella scena.
Albanese si fa corpo unico con la Favola, ma anche con il pubblico. È trasformista, , gigione, istrionico. Cade e si rialza con la lingua: dialetti, cadenze, inflessioni che giocano con l’italiano, lo deformano, lo accarezzano. Non mancano frecciatine politiche, ironia affilata, una sottile e tenera autoironia. Avendo imparato bene la lezione del Burattino, parte da Collodi e se ne discosta. Non cerca sperimentazioni ardite, analisi sofisticate, nuove interpretazioni, ce ne sono già abbastanza attorno a Pinocchio, e tante volte anche arbitrarie.
I personaggi? Indimenticabili, come li abbiamo amati nel libro di Collodi, ma riproposti in maniera divertente e divertita con il tocco libero dell' invenzione:
– Il Grillo Parlante ha la voce inconfondibile e fantasmagorica di Carmelo Bene.
– Il Gatto e la Volpe sono due compari irresistibili: il primo parla un napoletano scaltro e viscerale, il secondo un milanese lustrato e berlusconiano. C'è posto anche per le maschere italiane indimenticabili come quella con la mimica facciale e del corpo di Totò
La scena vive anche di improvvisazione: Albanese interagisce col pubblico, scarta dal copione, gioca con il momento. È lì, nel respiro vivo della sala, che la Favola rinasce. E come una carezza lieve, aleggia la musica dolce e malinconica di Fiorenzo Carpi: accompagna le trasformazioni, le nostalgie, lo sberleffo, senza mai forzare.
Il finale? È il lieto fine della favola, sì, ma non chiude il racconto fisicamente
dispiegato. Perché la meraviglia – o, meglio, la “maraviglia” collodiana – non si esaurisce, continua a vivere nello sguardo dello spettatore che esce dal teatro con un sorriso e un piccolo incanto in tasca. ANTONIO MIREDI----------------
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LE AVVENTURE DI PINOCCHIO raccontate da lui medesimo
IL GRANDE VARIETÀ DI PINOCCHIO per piano; attore e burattino.
diretto e interpretato da Flavio Albanese,
al pianoforte M°Roberto Vacca,
collaborazione artistica Marinella Anaclerio,
musiche di Fiorenzo Carpi / a cura di Giulio Luciani,
voce della fatina Cristina Spina
disegno luci Mattia Vigo
scenografia Iole Cilento,
burattino gigante Renzo Antonello,
maschera asinello Luigia Bressan
(Sopra e sotto Photo Courtesy Torino Fringe Festival- © Vanessa Callea)
.(Foto ©a.m.)
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Pinocchio dietro le quinte a spettacolo finito (Foto ©Antonio Miredi)