sabato 21 maggio 2011

La Lancia del Pelide e la Spada di Narciso


"La lancia del Pelide/ Magico dono/ Per un verso ferisce, per l'altro guarisce..". Sono i versi della canzone che l'artista Vinicio Capossela ha voluto inserire nella sua canzone più dichiaratamente d'amore dell'ultimo Album, e suonano a pima vista strani e misteriosi se pensiamo solo al significato guerresco cantato da Omero nell'Iliade.
Se invece  si prova a collegare il testo all'abisso  che i miti raccontano in modo parallelo, pur attravrso mille maschere e mille varianti, l'elemento simbolico ci aiuta a comprendere il suo signifiato più profondo. Il significato meno ambiguamente ricordato dal mito di Achille ci ricorda come la famosa lancia del Pelide, durante la battaglia di Misia, ferì Telefo, il quale dovette ricorrere all'oracolo di Delfi per avere il responso sula sua ferita perennemente aperta. Il responso rivelò che la guarigiaione poteva venire soltanto dalla lancia che la inflisse. Il sighificato più profondamente simbolico, invece, inevitabile  richiama la figura di Narciso, il cui mito banalizzato ha  invece una storia ben più complessa e in cui non compare solo l'infelice Eco.

                                                      Narciso di Caravaggio


"La Bellezza  di Narciso  arriverà a conoscere la Vecchiaia? questo aveva domandato la madre Liriope all'indovino Tiresia . "Si- fu la risposta- se non  conoscerà se stesso!"
Non è stata affatto la superbia  a far annegare Narciso, è stata la conoscenza, la propria smisurata, abissale autoconoscenza. Allo stesso modo, non era stata la superbia insensibile  a regalare  ad Amenìa una spada.
Anche Amenìa spasimava d'amore  per Narciso, e lo sottoponeva a una corte spietata, insopportabile: mai un gesto diretto, una parola o uno  sguardo chiaro. Solo estenuanti lacci senza la volontà e accettazione di una debolezza. Stanco ma non per questo insensibile, in un gesto di grande generosità, Narciso mandò al suo lontano ammiratore una spada, e questi, preso dalla disperazione, se ne sevì per uccidersi.
"Maledizione alla Bellezza", fu la sua risposta: giusto il tempo per un ultimo sputo  verso il cielo.
La spada è lama che  uccide e lama con cui ci si può dare la morte. La spada è lama che separa ma per paradosso la lama riflettente e speculare, è unione. Amenìa non aveva capito il significato simbolico di quella spada. Cercava l'amore senza simboli, senza cioè la metà di sè, ma non può esserci amore semza simboli.
Eppur Amenìa, amante infelice, la cui morte non attraversa la conoscenza  giacchè nel suicidio sfugge alla  propria visione  creatrice, ci aiuta a suo modo, indirizzandoci con il suo sacrificio verso la primigenia dualità che presidia e fonda l'amore. Il dio che viene in soccorso alla maledizione dell'infelice in amore non è Nemesi ma Anteros, il dio fratello simmetrico e opposto a Eros."
( da L'Angelo ferito di Antonio Miredi, Omega Edizioni 2004)



 
Una statua raffigurante Anteros creata da Alfred Gilbert nel 1885; collocata in Piccadily Circus , a Londra (da VikipediA)

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