giovedì 20 agosto 2020

L'AGOSTO INSANGUINATO DI LORCA IL POETA CHE NON VOLEVA MORIRE

 84 anni fa, nelle campagne di Granada,  veniva assassinato il poeta della natura e dell'amore oscuro, vittima innocente della guerra civile spagnola. Nella sua poesia ha prefigurato la sua morte, rievocata in un racconto poetico.


Federico García Lorca, (Fuente Vaqueros, 5 giugno 1898 – Víznar, 19 agosto 1936


Sia il mio cuore cicala
sopra i campi divini
e che muoia lentamente cantando
trafitto di cielo l’azzurro,
mentre una donna che indovino,
con le mani lo sparga spiando
nella polvere nuda.
E sia il mio sangue, sporco di campo,
un limo dolce e rosato
per le zappe sospinte
dei contadini stanchi...

Lorca, Cicala (vers. a.m.)

E’ un agosto inquieto, pregno di sangue caldo e caldo odio, e il regolamento dei conti con la caccia al nemico avviato da mesi. Federico non si sente esposto in prima persona, eppure il suo cuore geme e già in molti sono a suggerire di fuggire nel Messico lontano. E pensare che sente ancora la felicità di aver trovato un nuovo amore “oscuro”. Il biondo Juan, “talmente bello che non si può guardare…” Ma ha 19 anni, e per partire con lui verso la libertà del Messico occorre il benestare dei genitori.
Da solo non sarebbe mai partito. A Madrid il rischio però è inevitabile. Meglio seguire il consiglio di riparare presso amici falangisti, a Granada. Uno di questi è anche un amico poeta. Fra poeti non ci può essere l’odio feroce della politica e dell'’ideologia pronte a dividere gli uomini. Il poeta delle cicale, e degli alberi, e del mare, dell’amore e del dolore, non vuole morire. Non si sente un eroe pronto ad immolarsi. Gli eroi nascono dalle tragedie della Storia e lui è un poeta che conosce solo la tragedia della vita dove il miracolo e la morte devono avere il loro ciclo naturale ineluttabile.
Quando il sindaco socialista di Granada, suo cognato, viene arrestato e fucilato è come se già avessero bussato alla sua porta. E quel rumore sordo, sinistro, come una campana a morte, arriva in quell’agosto pregno di sangue caldo e caldo odio.
Lo illudono nemici ed amici, un arresto può essere solo un fottuto equivoco. Neruda già grida il suo sdegno, ed è una voce della poesia che è voce universale.
Il silenzio dei giorni della prigionia è invece un silenzio che copre le ferite delle torture all'anima e al corpo, con la volgare risata sguaiata dell’ignoranza.
La mattina all’alba, l’azzurro del cielo è di raso. E’ bello l’azzurro ma è un azzurro che pesa sul cuore. Accanto a lui un maestro di scuola e due anarchici toreri. Sono stati condotti alla periferia di Granada, in aperta campagna. Camminano silenziosi e il capo inclinato, davanti a uomini che imprecano fra risate e minacce. E poi improvviso l’ invito a scappare.
“Scappate, scappate…” urlano alle vittime che attonite esitano, presentono che è un invito a una morte in corsa. Federico non vuole morire. Il poeta delle cicale, e degli alberi, e del mare, dell’amore e del dolore, non vuole morire. In mezzo agli olivi qualcuno inizia a scappare e anche lui comincia la sua inutile fuga pronta ad inciampare. I colpi alla schiena arrivano prima, sono colpi simili a fitte di spine di fiotto sangue di una rossa rosa.
Il lento lamento della morte senza senso ora ha l’ascolto solo degli ulivi e della terra della compagna sporca del suo sangue. Non ci sono ancora le cicale a cantare. E quando le cicale canteranno nell’ardore del meriggio d’agosto del suo corpo nessuno più sa.
Solo loro, le cicale, forse lo sanno.

Antonio Miredi





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