venerdì 31 luglio 2020

LA CURA E LA PASSIONE VERSO LE PAROLE



Le parole muoiono. Le parole muoiono  anche quando non sappiamo rispettarle svilendole, facendole perdere senso, e non le usiamo con la cura e la passione



Tra le tante cose del nostro pianeta che stanno morendo ci sono anche le parole, per questo bisogna avere tanta cura e tanta passione delle parole
Chandra Livia Candiani

Non sono i linguisti a preoccuparsi se una parola muore, non sono i linguisti a circondare di passione la parola. I linguisti sono scienziati della parola che si limitano a studiarle lavorando in maniera neutra sui significati e i significanti delle parole.
Sono i poeti a prendersi cura della parola circondandola di attenzione e tenerezza. Accarezzandola, inseguendola, a volte anche maltrattandola per l’amore verso lo stesso rispetto della parola quando si nega o la si lascia svilire per gli usi anche più infami.
Fin dalla mia più tenera età, da quando ho cominciato a prendere “ consapevolezza della parola, ho posto uno sguardo poetico sulla parola.
Già all’asilo i cartelloni alfabetici, con le lettere accompagnate dalle immagini che potevano indicarle, provavo stupore verso la maniera magica con cui le lettere erano capaci di trasformarsi in immagini e farsi vita, desiderio, curiosità, meraviglia
A come ape, B come bicicletta, C come cavallo....
Non importa se filosoficamente le parole sono solo convenzioni sociali come affermano i nominalisti o se intrinsecamente possiedono la realtà come credono i realisti.
Una volta che storicamente abbiamo dato a una parola un suo preciso significato dobbiamo imparare a difendere il suo senso pregnante ribellandoci ogni volta che se ne fa un uso meramente strumentale, in modo subdolo o indifferente.
Le parole muoiono quando le priviamo di una loro anima, riflesso della nostra consapevolezza.
Muoiono anche quando crediamo che vivano sempre tra di noi perché le usiamo senza farci caso, senza darle un senso.
Antonio Miredi

giovedì 30 luglio 2020

RIMBAUD: IL POETA INCENDIARIO ALLA RICERCA DELL'ORO


Il poeta che ha incendiato la mia giovinezza è stato Arthur Rimbaud con i suoi versi pieni di stupore e ribellione e le sue lettere in anticipo sui tempi attraverso veggenti visioni e immagini iconoclaste.

Foto © Antonio Miredi

Paul Verlaine quando accolse a Parigi Arthur Rimbaud, dopo aver ricevuto alcuni suoi versi con una lettera di presentazione, alla stazione non lo riconobbe.
Rimbaud aveva mentito sugli anni scrivendo di essere maggiorenne e ritrovandoselo poi in casa della moglie si stupì come un adolescente fosse capace di essere così prodigioso nella lingua della poesia.
Se si aggiunge al prodigio linguistico la inquietante bellezza del suo viso ovale in esilio con i suoi occhi di un azzurrogrigio persi in uno strano abisso interiore, così ben messo in risalto in seguito dalla famosa fotografia di Étienne Carjat, immortalandolo per sempre iconicamente, si capisce meglio la storia, col suo esito tragico di questa nuova amicizia poetica Rimbaud-Verlaine. Amicizia poetica trasformatosi ben presto in una relazione fisica che metterà anche fine al matrimonio del poeta parigino.
La foto di Carjat e la decisione da parte di Rimbaud di chiudere definitivamente con la poesia a soli vent’anni, bruciando così ogni altro possibile sviluppo al suo estro di poeta, sono stati anche i due elementi che hanno contribuito a far crescere nel tempo il mito del poeta maledetto per eccellenza.
Ed è un gran torto che si fa proprio alla sua poesia che rischia così di venire trascurata e schiacciata dallo stesso mito.
Sono riuscito ad evitare questo rischio perché prima di conoscere la sua immagine iconica e la sua vita avventurosa e spezzata, sono arrivato alla sua poesia tramite la nuda e splendente parola.
E' stato il ricordo di un altro poeta, a suo modo “maledetto”, a condurmi ai versi di Rimbaud.
Studente, mi capitò di ascoltare in televisione una vecchia registrazione e conversazione di Pier Paolo Pasolini, intervistato da Enzo Biagi, il quale confessava di essere diventato profondamente antifascista sui banchi del liceo a Bologna,
il suo professore lesse in classe alcuni versi di Rimbaud e Pasolini si sentì investito da uno spirito nuovo.
Leggendo poi Rimbaud ho cercato di capire come sia stato possibile che un poeta adolescente che non ha una poetica esplicitamente civile in maniera ideologica, abbia potuto operare così profondamente in una coscienza.
La ragione di un antifascismo intrinseco in ogni poesia di rottura consiste nel fatto che prima ancora di essere ideologia totalitaria, il fascismo bisogna intenderlo come assuefazione a una mentalità, ancora presente in Italia, conformista e perbenista coi suo falsi valori ricondotti alla formula di Dio Patria e Famiglia.
Ecco perché Arthur Rimbaud è ancora un poeta moderno e a suo modo civile. La sua poesia sopravvissuta persino alla scelta del poeta di non fare più poesia, abbandonando l'Occidente per l'Africa, ci fa aprire orizzonti e visioni sempre nuove e altre mediante una idea di lingua come continua alchimia alla ricerca di una possibile luminosa verità di corpo e di anima.
E lo affermo con tutta franchezza, se si prova a leggere con attenzione le sue lettere africane, così apparentemente impoetiche, non si tarda a scoprire come in lui il poeta non sia mai morto.
Malgrado la sua volontà di accumulare oro, arrivando a vendere armi. ( La vendita di schiavi è una storia mai provata)
Accumulare oro...
L’alchimia non ha cessato di operare inconsciamente e forse consapevolmente.
Antonio Miredi


mercoledì 1 luglio 2020

NOVITA' EDITORIALI


LA SFIDA DELL'ULISSE DI JOYCE

A sessant'anni di distanza dalla prima mondadoriana autorizzata, esce la nuova  traduzione di Mario Biondi, di un libro che ha scardinato il romanzo ottocentesco divenendo un classico

                                                                    Foto © Antonio Miredi


Sono abbastanza snob da confessarlo subito. L’Ulisse di James Joyce è uno di quei libri il cui viaggio non è stato mai intrapreso, pur essendo presente nel mare della mia personale biblioteca fin dai tempi liceali.

Snob si, ma non stupido, al punto di pensare, sempre per snobismo, che se ne possa fare a meno. Considero l’Ulisse, insieme alla Recherche di Proust e l'Uomo senza qualità  di Musil, il primo libro di quella triade esemplare di inizio Novecento, capace di scardinare in maniera radicale il romanzo unitario e concluso ottocentesco.
Mi sono ritrovato spesso a chiedermi cosa finora mi abbia impedito l’avvio di una lettura, seppure condivisa con altre letture, come mia abitudine.
Il numero esorbitante delle pagine, lo spinto sperimentalismo linguistico che guardo sempre con curiosità ma anche con riserva, dato il mio debole per la bella prosa che circonda la parola di rispetto e ricerca di senso, o invece proprio il suo essere caposaldo letterario che mette una certa soggezione?
Un titolo sempre presente nelle conversazioni letterarie, ma poi quanto veramente letto, almeno fino alla fine? Pochi lo ammetteranno ma l'Ulisse di Joyce è super citato e pochissimo letto.
Paradossi della Letteratura. Paradosso di paradossi, il mio però è speciale.
Potrà sembrare strano, e di fatto lo è, ma fin da ragazzo nei confronti del desiderio ho sempre avuto una resistenza al soddisfacimento immediato.
Il senso di una attesa, di un rinvio, di un timore a farlo morire nel momento in cui viene soddisfatto, ha investito anche il mio amore per i libri.
I libri desiderati non si possono consumare senza un giusto investimento di tempo e di attenzione!
Ci voleva finalmente la nuovissima traduzione di Mario Biondi, navigato traduttore, a sessant'anni di distanza da quella canonizzata mondadoriana di Giulio De Angelis, con un apparato di note che ne agevola la lettura, per rompere ogni indugio e ridarmi il coraggio e la passione di una sfida.
Questa novità editoriale, uscita nel mese cult di tutti i joyciani inguaribili, giugno, e per i tipi della Nave di Teseo, oggi è anche mia.
Il formato mi piace, così la veste della sovraccoperta, semplice e pulita su pagina bianca, con autore e titolo in verde e rosso, pronto a far scoprire l’altra copertina che ricalca quella della primissima edizione azzurromare.
Trofeo di tutti i bibliofili, lo avrà posseduto Umberto Eco?
Sono un curioso dei libri e sono sempre attento ai nessi, ai richiami, alle belle, forse non casuali coincidenze.
Il fatto che Ulisse sia stato stampato dalla Nave di Teseo, e in una collana di nome Oceano,  appare un buon viatico nella  navigazione.
Antonio Miredi

James Joyce, Ulisse
Traduzione e note di Mario Biondi
Prima Edizione La Nave di Teseo, giugno 2020
25,00 €