In un futuro Aprile, dei registi Francesco Costabile e Federico Savonitto, disvela la prima stagione poetica vissuta a Casarsa di Pier Paolo Pasolini.
Un viaggio nel tempo, nella geografia naturale e linguistica friulana, nella parola come corpo di desiderio. Il racconto di un testimone d'eccezione, Nico Naldini nella sua ultima intervista.
FRA GRAZIA E ANGOSCIA LA CARNE E IL CIELO
di Antonio Miredi
" I primi ricordi della vita sono ricordi visivi...La prima immagine della mia vita è una tenda, bianca, trasparente...” La sommessa calda interiorizzata voce narrante di Daniele Fior rende subito protagonista la parola, in questo caso quella scritta di Pasolini, intesa come forza visiva ed eversiva, nell'atto stesso che si cerca, si interroga, si manifesta e si pone come voce altra.
Sono tanti i registri ( e i livelli) di In un futuro Aprile, il film di Francesco Costabile e Federico Savonitto, nato da una idea produttiva di Augusta Eniti e Remigio Guadagnini per Altreforme, arricchito da molteplici materiali, uniti nel montaggio da un perfetto equilibrio narrativo, più di un semplice riduttivo e generico docufilm.
Un film che snoda attraverso parola e immagine il racconto di una stagione irrimediabilmente perduta, senza nostalgia e retorica.
Una stagione rievocata in tutti i vari livelli della narrazione filmica, le immagini ricostruite, quelle documentaristiche, il racconto fluido e misurato di un testimone d'eccezione, nella sua ultima intervista, Nico Naldini, poeta e scrittore egli stesso, cugino e soprattutto complice con Pier Paolo, nella scoperta miracolosa di un eros panico e violento.
L'arrivo a Casarsa, nelle estati, di Pasolini vissuto con la trepidazione di una felicità abitata da nuove e altre conoscenze adolescenziali e altre interiori solitudini.
La vita contadina che Pasolini scopre come familiare e capace di infondere uno strano turbamento.
Il cuore assalito da forti emozioni nella riscoperta dei gesti e di una lingua antica che si rivela sovversiva, rispetto alla falsa retorica del conformismo politico e culturale. In abbandono dei sensi e nel senso segreto, inesprimibile, di tutto quel mondo contadino.
Il film prova ad esplorare questo inesprimibile segreto nascosto.
E lo fa da subito nell'associare al ricordo visivo pasoliniano della tenda bianca e trasparente l'immagine materna.
La figura della madre (Susanna Colussi) è la ricorrente matrice narrativa in controluce in tutta la luce carnale e geografica di questa prima giovanile stagione poetica.
Fantasma di grazia e angoscia, unico duraturo amore nel suo scindere l'anima immacolata e il desiderio dei corpi carnali.
"L'amore di Susanna per Pier Paolo era un amore talmente privo di giustificazione, che chiunque avrebbe potuto avere gelosia, o crisi”
Naldini non lo dice esplicitamente ma indirettamente lo fa capire; buona parte del conflitto di Pasolini con il padre Carlo Alberto, nasce anche da questa natura amorosa edipica.
"Carlo Alberto era innamorato in maniera folle di Susanna, ma a le lui non è mai piaciuto. Dico la mia. Tanto è l'ultima volta che ne parlo”
Si prova commozione ad ascoltare, ora che non è più tra noi, questa libera sua confessione in cui il racconto è vissuto in parallelo di pubblico e privato.
Nico Naldini ricorda anche la figura coraggiosa, eroica del fratello di Pasolini, Guidalberto, clandestino nella lotta partigiana dove incontrerà la morte.
E anche in questo caso, inevitabile diventa il riferimento alla madre. "Si direbbe che i due fratelli si siano suddivisi i compiti. Uno è rimasto a proteggere la madre e l'altro si è gettato nell'avventura della guerra contro i fascisti”.
Il film con delicatezza e potenza espressiva sposta lo sguardo sui campi, i visi, creando quella attrazione del montaggio di cui ha teorizzato il grande regista sovietico Ejzenstejn. E a volte l'accostamento è volutamente stridente. Ai giovani ragazzi seminudi che scorrazzano per i campi e le stradine di periferia in bicicletta ecco poi di colpo giovani motorizzati simili a un branco di centauri minacciosi.
Un'atmosfera densa di accoramento e sensibilità poetica il film la vive attorno a un focolare domestico quando si rievoca la figura della violinista Pina Kalc, al suono di uno struggente violino.
La partitura lamentosa della Ciaccona dell'amatissimo Sebastian Bach in questo alto momento musicale, in una struttura filmica in cui la musica è ridotta all'essenziale (anche se fortemente suggestiva anche negli accordi originali di Paolo Corberi), si epifanizza in fame di quell'amore carnale che non ha trovato la sua parola. Così come la lingua friulana parlata nella riva destra del Tagliamento aspettava ancora di essere scritta, oltre le care immagini tradizionali.
Era stata ancora una volta la seduzione carnale, umiliante ed esaltante, nata negli anni della prima infanzia e che si era incuneata nell'incavo delle ginocchia dei ragazzi che giocavano sotto casa a Belluno, a far inventare la locuzione teta veleta.
La scelta della lingua friulana dell'esordio letterario rivive e risuona nel film, in maniera fluida, musicale, dolce e sferzante, attraverso più voci e tornano come echi nella pioggia, fra i temporali, o nel filtro rosato dei casolari.
Ma questa scelta linguistica dell'esordio poetico supera la carezza filologica; come ricorda lo stesso Naldini, diventa una precisa scelta di campo “un gesto sociale di alleanza con gli umili contro i potenti”.
L'incanto di tutto questo mondo, fra feste paesane, bevute di vino, nuove conoscenze ed avventure erotiche ha un esito drammatico con lo scoppiare dello scandalo sessuale nel paesino di Ramuscello.
Accusato di corruzione di minori, Pasolini sarà costretto a subire un processo, abbandonare l'insegnamento, essere espulso dal partito comunista, e come un romanzo fuggire di nascosto con la madre a Roma.
Questo scandalo sarà il primo di tanti altri “scandali” costruiti ad arte, ma non in grado di cancellare la scelta politica di essere sempre contro il potere omologante “piccolo borghese”.
Una scelta già fatta e vissuta a Casarsa e sempre presente nella poetica successiva del poeta e scrittore eretico.
La forza archetipica di una civiltà mitizzata, metafora di una mutazione antropologica, elemento critico di ogni futura battaglia civile, attraverso tutti i possibili mezzi espressivi di cui Pasolini si è servito, fino alla fine dei suoi giorni.
La fuga a Roma apre un capitolo nuovo, lontano dalla materna terra friulana. Lo strazio della barbara morte del poeta, riporterà madre e figlio nella terra delle origini, come a chiudere la perfetta circolarità di una tragedia greca.
La lettura di Supplica a mia madre con il suo ultimo verso letto dalla voce dello stesso Pier Paolo Pasolini, ci riporta al titolo del film ma anche a un suo potente messaggio di "nuova luce", che i due registi hanno voluto lasciarci.
Antonio Miredi
Regia: Francesco Costabile e
Federico Savonitto
Prodotto da: Remigio Guadagnini e Augusta
Eniti
Fotografia: Debora Vrizzi
Montaggio: Natalie Cristiani e
Federico Savonitto
Musica: Paolo Corberi
Voce narrante: Daniele
Fior
Suono: Havir Gergolet e Antonio Petris
Sound design: Eric
Guerrino Nardin
Costumi: Vittoria Prignano
Produzione: Altreforme, in associazione con Centro Studi Pier Paolo Pasolini, Cinemazero, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Kublai Film. In collaborazione con Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia
Con il sostegno di: Fondo per l’Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia, Friuli Venezia Giulia Film Commission, Fondazione Friuli
Distribuzione internazionale: CAT&Docs
Visibile nel circuito digitale
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Festival e premi
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Biografilm Festival, 2020 / Menzione Speciale Biografilm Italia
Sole Luna Doc Film Festival, 2020 / Sguardi Doc Italia
Asolo Art Film Festival, 2020 / Miglior film sull’arte + Premio Sky Arte
Sole Luna Sguardi doc Treviso, 2020 / Premio Rubino Rubini
Taipei Literature Film Festival, 2020