domenica 27 marzo 2022
IL CINEMA AL CINEMA: BELFAST
Kenneth Branagh confeziona in maniera impeccabile il suo nostalgico amarcod nell'incanto della infanzia poco propensa a cogliere il dramma sociale di una guerra civile fra protestanti e cattolici nell'Irlanda del Nor verso la fine degli anni sessanta.
Un atto d'amore rivissuto nella calligrafica nitidezza di un bianco e nero che accontenta gli occhi in maniera statica.
FOTOGRAMMI CON GLI OCCHI INCANTATI DI UN BAMBINO
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Belfast 1969. In un quartiere periferico della città dove tutti si conoscono, bambini e ragazzi giocano per strada.
Improvviso, l'urto di un gruppo violento irrompe nel quartiere, saccheggiando vetrine, finestre, facendo esplodere un'auto in sosta, e
rompe l'idillio ricordandoci che siamo negli anni in cui esplode la guerra civile nell'Irlanda del Nord fra la comunità cattolica e quella protestante.
Il dramma sociale di questa violenza che porta morte e distruzione non viene però messo a fuoco. Il film preferisce rimanere nella tenerezza di una famiglia di operai vissuta soprattutto con gli occhi spesso incantati del piccolo Buddy, nonostante la precarietà economica, l'andirivieni fra l'isola e il continente per ragioni di lavoro, il rischio della violenza in cui tutti sono esposti.
Restare o partire, è questo il dilemma che la famiglia si trova ad affrontare . Il piccolo Buddy vuole restare perché qui ha modo di parlare in complicità col nonno, continuare a giocare per strada, vedere dalla finestra la sua compagna di classe anche se lei è cattolica e lui protestante.( Un tocco di politically correct ci sta sempre bene)
Kenneth Branagh confeziona in maniera impeccabile il suo nostalgico amarcod ( Il regista è nato a Belfast nel 1960 quindi nel 1969 aveva 9 anni come Buddy, il piccolo protagonista della storia)
La fedeltà all'incanto che nella infanzia potevano dare il cinema e il teatro, la colonna sonora che riporta e ci trascina in quegli anni non facili eppure carichi di cose da fare e da vedere, e la bella nitidezza da fotogramma che il bianco e nero ci offre, concorrono per essere un sentito e vissuto atto d'amore, anche verso la terra in cui alcuni restano e altri lasciano.
il rischio è che l'emozione alla fine risulta raggelata da tutte questa studiata estetica-estatica rappresentazione di una stagione vissuta in maniera incantata.
Un film col carisma per piacere al grande pubblico, grazie anche alla maniera con cui il fanciullo gioca il suo ruolo, e pronto a imporsi nel rito delle premiazioni ufficiali, per le sue indubbie qualità visive e quel benefico abbandono alla nostalgia giovanile, così presente in tanti film oggi di successo.
Antonio Miredi
domenica 20 marzo 2022
IL CINEMA AL CINEMA: LICORICE PIZZA
Paul Thomas Anderson, il regista del sofisticato e impeccabile “Il filo nascosto” torna alla regia con una vitale leggera commedia, tuffandosi nella nostalgica vallata californiana primi anni settanta, con la sua indimenticabile colonna sonora.
CHE (RIN) CORSA L'AMORE
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Se si hanno dei dubbi riguardo all’amare, basta, nel peso dell’assenza, verificare quanto si è disposti a correre o rincorrere per l’incontro.
Gary Valentine (Cooper Hoffman) è un quindicenne grassottello e brufoloso, un po’ sbruffone ma abbastanza sicuro di sé, attore carismatico in una compagnia di ragazzi, con uno spiccato senso imprenditoriale degli affari. Alana Kane (Alana Haim) ha ben dieci anni di più, insoddisfatta e in cerca di un suo preciso posto nel mondo, non particolarmente bella ma capace di trasmettere una sua naturale attrazione.
Nel momento in cui Gary ha modo di vederla, durante le liceali foto di gruppo, dove Alana lavora come aiuto fotografo, è già convinto che quella giovane donna sarà sua moglie. Anche se da subito Alana lo prende in giro, gli ricorda quanto sia un moccioso ragazzino per niente fico. Eppure tra i due, un po’ necessità, un po’ per la caparbia insistenza di lui e la voglia di Alana di uscire da una sorta di gabbia, si stabilisce una strana e insolita intesa di coppia senza essere coppia.
Attorno a questa coppia stramba e libera, il regista realizza una commedia leggera e tutta giocata sul giro vorticoso di una estate americana primi anni settanta, nella familiare vallata di Los Angeles, con personaggi di adulti tratteggiati in modo caricaturale e sempre sopra le righe. Un modo anche per mettere in piena luce solo questa insolita coppia, intraprendente e tutta pronta a vivere il momento in cui si ritrova a recitare una parte, anche nella più disarmante ordinarietà e insignificanza fisica.
E poco importa se poi la storia precipita in un microcosmo della Valley che appare nel sobborgo di Los Angelesdi San Fernando persino provinciale, con episodi folli e stravaganti, sfilacciati e ridotti a frammenti di memoria.
In questo vortice senza una precisa narrazione la coppia continua a giocare il reciproco avvicinarsi e allontanarsi, in un continuo tira e molla ricco di piccole gelosie e piccole rivalità, spesso con un rovesciamento di ruoli. A volte è lui a sembrare più maturo e capace di prendere una nuova iniziativa di successo, altre volte è lei a prendere il controllo e far in modo di uscire da situazioni pericolose, come quando si ritrova a guidare un grosso camion a secco di benzina, (una delle scene più interessanti) giù per la collina californiana. I veri infantili alla fine sono solo gli adulti, tutti accomunati nel loro poter offrire spunti di riflessione ma senza un approfondimento. E anche per i due giovanissimi protagonisti, bravi e sempre credibili nella loro naturalezza, nessuna introspezione, nessuno scavo psicologico. Solo la forza di una vitalità capace di amalgamarsi alla perfezione dentro la stagione di quel preciso 1973, ricreato magnificamente, al punto da farci sentire estranei rispetto a un tempo passato che già ci appare lontano nonostante la sua magnifica indimenticabile colonna sonora, con canzoni anni sessanta e quelle dell'anno in cui la vicenda si colloca.
Per Paul Thomas Anderson, regista del precedente sofisticato e impeccabile “Il filo nascosto”, la trama è anche, se non soprattutto in questo ultimo film, materia, tessuto.
Il tessuto cinematografico ha una sua tale rilevanza linguistica da poter far a meno di una scorrevole intelligibilità narrativa. Per arrivare al significato del titolo del film bisogna risalire alla autobiografia del regista per sapere che Licorice Pizza era una famosa catena di negozi di vinili che in quegli anni erano meta quasi religiosa di tanti giovani americani assetati di libertà e musica.
Musica, con la nostalgia vintage verso gli Album a 33 giri simili a pizze di liquirizia, e vortice di giovinezza restano di sicuro grandi pregi ma non bastano per rendere un film un capolavoro: molti spunti non volutamente messi a fuoco, se non difetti, appaiono un limite.
La sottile e sotto traccia disamina a una società americana sempre in cerca di se stessa tra sogno e cinismo, indulgente e pronta ad auto assolversi, se c'è è talmente irriconoscibile da non venire percepita nemmeno dai tanti entusiastici giudizi riconducibili alla gioiosa e vitale estetica formalistica.
Troppo poco, se non si vuole lasciarsi andare solo al tuffo di una corsa, salutare ma nostalgicamente vacua, in questo nostro tempo di orrore.
Antonio Miredi
sabato 12 marzo 2022
UN COLPO DI FULMINE LA JAGUAR NERA DI DIABOLIK
Intervista esclusiva al manager proprietario della iconica Jaguar E-Type del 1962, auto di un mito del fumetto, Diabolik.
Quando nel 1961, al Salone di Ginevra, fu presentata per la prima volta la Jaguar E-Type, immediata fu la consapevolezza di trovarsi davanti a un capolavoro di perfezione estetica e meccanica.
Linea di eleganza sinuosa protesa in avanti, potenza di velocità e prestazioni in grado di non sfigurare e persino superare quelle di altre auto oggetto di desiderio come la Ferrari, la Meserati, la Aston Martin.
La Jaguar non poteva non essere l'auto di Diabolik, inafferrabile criminale a suo modo fascinoso, entrato nella storia del mito del fumetto grazie alla genialità creativa di due donne, le sorelle Giussani.
Ad unire Diabolik e la Jaguar è anche il comune anniversario di esordio, sessanta anni dalla loro apparizione della scena, nella realtà e nell'immaginario.
A Torino, in occasione dell'ultimo film su Diabolik dei Manetti Bros, interpretato da Luca Marinelli insieme a Cinzia Leoni (Eva Kant) e Valerio Mastrandrea ( l'ispettore Ginko), due mostre in contemporanea da poco conclusasi.
Al Museo del Cinema alla Mole Antonelliana sul mito del Fumetto dell'antieroe per eccellenza, in calzamaglia nera, mito capace di investire diversi linguaggi, aspetti e forme di espressione, e quella del Museo Nazionale dell'Automobile.
Vero colpo grosso al Museo dell'Automobile di Torino si è rivelata la presenza di una strepitosa Jaguar E-Type del 1962, esattamente come quella di Dibolik, proveniente da una collezione privata.
All'inaugurazione della Mostra, nel dicembre scorso, era presente, accompagnato dalla moglie, il proprietario della Jaguar, un manager che vive in una amena cittadina marchigiana, che ha permesso questa esclusiva intervista.
Naturalmente per ragioni di riservatezza, non viene elencato il suo nome.
Domanda: Come è nata questa passione collezionistica che l'ha portata a realizzare uno dei sogni esclusivi degli italiani, possedere una Jaguar come quella di Diabolik?
Risposta: Sono un lettore del fumetto del Re del Terrore dall'età adolescenziale: Un giorno uscendo di casa mi capitò di vedere davanti agli occhi proprio una Jaguar E-Type color verde british. Un'apparizione, un vero colpo di fulmine. Non credevo prima che questa auto esistesse nella realtà, pensavo appartenesse solo al mondo della immaginazione. Ho creduto persino che anche Diabolik potesse essere in carne ed ossa nei paraggi.
L'auto apparteneva a un commerciante collezionista, mio vicino di casa.
La casa di produzione del fumetto di Diabolik, l'Astorina, all'inizio non ha potuto inserire il nome Jaguar accanto a Diabolik, per il rifiuto della casa di produzione dell'auto che non voleva una propria vettura associata a un criminale. Poi quando è arrivato il successo, naturalmente il nome è stato inserito, anche se l'auto appariva già nel primo numero del fumetto. Ed è stato questo vicino di casa che poi mi ha aiutato a comprare la Jaguar nera coupè, prima serie del 1962, vista da un meccanico nei pressi di Roma, dopo diverse traversie che formano un'altra storia da raccontare.
Domanda: Si tratta di un'auto particolare non adatta a un uso familiare frequente. Un oggetto esclusivo di desiderio non del tutto consumabile.
Risposta: Si, è così. Mia moglie ha subito definito l'auto uno dei miei giocattoli, di certo il più esclusivo.
In effetti la uso raramente, solo per la normate periodica manutenzione e cerco di evitare di passare per le città.
Considero questa auto come una vera opera d'arte, capace di essere esposta come un quadro in un salotto per l'ammirazione e il piacere di essere guardata.
DOMANDA: C'è come una complice affinità fra Diabolik e la sua auto. Lo scatto fulmineo e felino, una forza morbida di coraggio e forma sinuosa.
Risposta: Non a caso l'auto è una Jaguar. La storia della scelta del nome viene del resto raccontata in un numero del fumetto. Diabolik è l'unico sopravvissuto di un naufragio marittimo. Alcuni criminali nascosti in un'isola, decidono di allevarlo e così viene cresciuto per essere un vero malfattore, fino a stringere un patto con King, il capo banda. Quando però quest'ultimo uccide una pantera, animale che tanto l'aveva affascinato, Diabolik lo uccide
e deruba gli altri criminali dell'isola, da dove fugge divenendo un vero esperto grazie anche a tecniche sofisticate apprese grazie a un certo Romin. Fino poi ad imbattersi in Dorian, il possessore della Jaguar di color nero che Diabolik, eliminato anche lui, farà sua.
DOMANDA: Ha visto il film appena uscito su Diabolik, cosa ne pensa?
RISPOSTA: Il film è ben fatto ma mi è sembrato anche staticamente freddo,con poca azione
DOMANDA: Cosa l'affascina soprattutto del personaggio Diabolik
Risposta: La sfida. Diabolik deve continuamente superare prove che presentano sempre più nuovi e difficili ostacoli. E lo fa con l'ingegno, il coraggio, la forza e anche l'astuzia e la capacità di usare le sue mille maschere.
Domanda: La sfida è un tratto anche della sua psicologia
Risposta: Si, totalmente. Anche nel lavoro bisogna avere sempre una sfida, continui stimoli.
DOMANDA: Riuscire a realizzare un sogno, come ha fatto lei, è anche un altro modo di porsi una sfida. Un sogno tutto suo, all'inizio, che non è stato subito condiviso da sua moglie.
RISPOSTA: Si, all'inizio mia moglie non è sembrata tanto entusiasta. In una decina di anni sarà salita in auto solo due volte. Quando però l'ha potuta ammirare a Torino il giorno della inaugurazione, tutta illuminata, anche lei, presa dalla emozione, si è sentita orgogliosa.
La moglie, Anna, presenza rassicurante, conferma, sollecitata ad intervenire a conclusione della intervista..
RISPOSTA: “ A Torino l'auto è sembrata nel suo splendore di oggetto esteticamente bello. Non sono particolarmente interessata a Diabolik come personaggio di fumetto, ma la bellezza fa parte della nostra vita. Accanto al valore della speranza. In un momento così difficile, come quello che stiamo attualmente vivendo, con tre figli giovani, mi viene solo da pensare alla speranza che non deve mai mancare nella nostra vita”
(A cura di Antonio Miredi)