venerdì 29 dicembre 2023
IL MITO DELLE SIRENE NEL CALENDARIO 2024 DELL'ARTISTA LORENZO MARIA BOTTARI
E' diventato un appuntamento ricorrente negli ultimi anni creare un Calendario d'Arte per salutare il nuovo anno, e per questo 2024, pronto a entrare nelle nostre case, l'artista Lorenzo Maria Bottari si è ispirato al Mito delle Sirene, creature multiformi marine e celesti, che nel Mediterraneo italiano hanno trovato il loro definitivo approdo
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E' ormai come un ricorrente evento augurale, propizio e creativo, quello di Lorenzo Maria Bottari di salutare il nuovo anno e farlo entrare nelle nostre case con un Calendario d'Arte, ispirandosi a una figura, un tema, una storia. Un vero atto d'amore che negli ultimi anni ha omaggiato e raccontato la poetessa Alda Merini, con una presentazione alla Casa Merini di Milano, e Pinocchio nel Paese dei Tarocchi, presentato a Collodi. Due emozionanti occasioni che confermano la natura nomade e attiva di una artista con il coraggio di vivere solo del suo artigianale lavoro creativo, nella fedeltà di una libertà ispirativa arricchita dal viaggio continuo della vita, al di là delle comode mode o strategie di un Mercato che ha smarrito rischio e passione.
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COME UN MODERNO ODISSEO-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Nel ripercorrere i luoghi, le figure, i protagonisti della scena artistica, in particolare mediterranea, il viaggio mitopittorico di Lorenzo Maria Bottari è quello di un moderno Odisseo, senza la nostalgia di un Nostos, sapendo
come Kavafis che Itaca non è una meta finale ma il bel viaggio che arricchisce e che rinnova.
L’Itaca è la Palermo delle origini, della mitica Sicilia in cui l’artista si è impregnato della panica istintuale forza magmatica di Renato Guttuso, facendola propria con una cifra ancora più selvaggia e debordante nel colore e nelle forme
In una mappa mediterranea, pronta a toccare le sponde di Puglia, Calabria, fin sulle coste liguri, in cui la presenza del Maestro Wifredo Lam, familiare a Picasso e Mirò, si è rivelata preziosa lezione per passare dalla tavolozza degli accesi colori all’artigianale laboratorio della ceramica di Platino.
E al centro di questa mappa, la Campania Felix, e il suo variopinto magnifico golfo, già miticamente cantato da Omero e dove la traiettoria delle sirene, creature allo stesso modo celesti e marine hanno trovato riposo, entro l’azzurrina corona di un arcipelago tra i più stupefacenti...
Lungo questa mappa e il suo viaggio Ibrahim Kodra quivi dalla frenetica metropoli milanese ha scelto il suo aristocratico ozio estivo, di mondanità e cultura; un richiamo anche irresistibile per Lorenzo Maria Bottari che con il Maestro albanese ha avuto un lungo sodalizio d’arte e amicizia.
Le sirene, si diceva, eterne creature esperte di metamorfosi, maestre di ogni seduzione di conoscenza e desiderio. Seduzione senza la quale il canto della poesia e della pittura resterebbe effimero, come a dire muto.
Antonio Miredi
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domenica 12 novembre 2023
AL CINEMA COME EVENTO SPECIALE SPLENDE "L'ENIGMA ROL"
La figura di Rol aleggia come mistero ed enigma in un film di Anselma Dell'Olio in cui fiction, animazione e il documento di testimonianze dirette si intrecciano in un gioco di ombra e di luce. Una figura poliedrica pronta a dividere i giudizi ma che rimane ancora viva nella memoria, come il successo al botteghino ha dimostrato. Torino, sua città natale, aveva già ricordato e celebrato la magnetica presenza di Rol con un evento all'Eridano.
LA LUCE COME OMBRA DI DIO NELLA FIGURA DI ROL
di Antonio Miredi-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Dopo aver realizzato tre film documentari su tre figure del Cinema in cui il genio della regia ha saputo rappresentarsi, Ferreri, Fellini, Zeffirelli, Anselma Dell'Olio torna dietro la macchina da presa occupandosi questa volta di una figura completamente al di fuori il mondo della celluloide, ma non per questo meno complessa, affascinante, poliedrica: Rol, protagonista al centro della vita sociale e culturale a Torino, in Italia e fuori gli stessi confini nazionali, del Novecento. La figura di Rol del resto era continuamente evocata già in due precedenti docufilm realizzati, Fellini e Zeffirelli, ed è sembrato a questo punto doveroso e quasi un "destino" per la regista imbattersi pienamente sul suo "enigma".
Non era facile, senza voler ripetere certi scontati canoni del classico documentario, trattare un personaggio complesso e pronto a suscitare giudizi contrapposti, a cominciare dal tentativo di dare una definizione stessa della identità di collocazione sociale. Chi è stato, e per certi aspetti chi è ancora oggi Rol? Un sensitivo, un prestigiatore, un mago, un mentalista, un illusionista...? A confondere le carte è stato lo stesso Rol, il quale ha avuto occasione di ribadire di non essere nessuna delle etichette affibbiate ma di possedere semplicemente alcune possibilità.
Non era facile, si diceva, affrontare una figura spiazzante e non facilmente collocabile, Anselma Dell'Olio ci prova con una indovinata e felice formula, amalgamando in maniera armoniosa tre diversi mezzi espressivi, la fiction, l'animazione e la testimonianza documentaristica. Una scelta che permette il dispiegarsi di un senso di magia e di mistero attorno alla sua figura anche nell'articolarsi di ricordi affabulatori, pensieri e considerazioni diversificate e a volte in contrasto.
In questa cornice, la messa in scena teatrale della fiction e dell'animazione si prestano come fulcro centrale di un film a tutti gli effetti, pur avvalendosi del documento oggettivo delle testimonianze, in un contesto di vissuto di umana empatia e creativa narrazione. Il titolo stesso del fim Enigma Rol ci riporta alla matrice di questo discorso. L'enigma, pur possedendo come nucleo profondo una verità da rivelare e stanare, etimologicamente è riconducibile alla forma di un racconto capace di declinarsi in più provvisorie soluzioni. L'enigma è come il gioco speculare di luce e ombra, senza poter far a meno dell'uno o dell'altra.
Un gioco di luminosità e oscurità che segna lo sviluppo di tutto il film a cominciare dalla prima scena di finzione cinematografica (che non a caso ritorna anche alla fine prima dei titoli di testa) in cui il protagonista osserva e cammina solitario lungo una spiaggia sabbiosa, la cui luminosità risulta esaltata dal riflesso dell'azzurro marino.
Detto per inciso, gli occhi di Rol erano di un azzurro così intenso da poter sembrare persino accecante.
Questa umanissima solitaria pensosità appare anche esistenziale paradigma di un uomo che per paradosso ha amato anche vivere e circondarsi di persone famose e importanti facilitato dalle sue doti personali e dal ceto alto borghese torinese della famiglia da cui proveniva. Nel film il senso di vegliarda solitudine il protagonista la rivive in un altro bel momento ripreso della finzione, quando Rol bambino dopo la lettura del libro Le avventure di Pinocchio di Collodi, lo porta a dire di sentirsi bambino vecchio in mezzo ai bambini e vecchio solo fra i vecchi.
Una riflessione che si caratterizza anche nell'animazione dove, simile a Pinocchio, solitario si allontana lasciando una scia di magica poesia.
Non sempre tuttavia la finzione cinematografica riesce a convincere. La scena dell'incontro con Mussolini, nonostante l'accuratezza scenografica con cui viene rievocata, sembra più un momento parodistico, a causa della troppa somiglianza fisica dei due personaggi che distoglie dalla reale drammaticità della situazione. Più felice l'idea, sempre nella finzione, di lasciare senza nessun dialogo e spiegazione, in un'altra scena che si ripete all'inizio e alla fine del film, la figura misteriosa di una fanciulla in un interno con un armadio, degli oggetti, dei vestiti. Una cammeo che ha la grazia di una epifania.
La regista Anselma Dell'Olio non traccia una vera esauriente biografia di Rol rifiutando un lineare didascalismo e uno scavo psicologico del personaggio, preferisce lasciare tracce, scie, rimandi, e in qusta dimensione sospesa e allo stesso tempo avvolgente, lascia alla parola dei racconti delle testimonianze, alla vividezza dei ricordi, alle opinioni degli intervistati il compito di sviluppare una tela narrativa dentro la quale tutte queste voci così diverse tra loro, figure sociali e professionali di artisti, amici di famiglia, scrittori, politici, imprenditori, esperti di scienza, diventano alla fine essi stessi personaggi.
Tra le testimonianze, quella dell'artista Barbara Tutino, la quale avendo abitato nello stesso palazzo torinese di via Silvio Pellico angolo Corso Massimo D'Azeglio, davanti al Valentino, in cui ha vissuto Rol, riesce a fare un quadro assai convincente e vivo, riprendendo una famosa e bella definizione dello stesso Rol, ripresa da Albert Einstein, sul concetto di LUCE come OMBRA DI DIO.
In questo quasi assioma si può riassumere il senso di tutto il film, che non vuole offrire nessuna verità piuttosto ricordarci che la vita non si spiega con la sola ragione e che il mistero e l'ignoto segnano quel confine in grado di stimolare e arricchire la nostra curiosità, la meraviglia, l'empatia umana. E in questo gioco di ombra e luce, possiamo ripensare alla figura di Rol come un "illuminato", riprendendo quello che Franco Zeffirelli ha avuto occasione di dire parlando di Rol in una trasmissione televisiva. Un illuminato che ha saputo stupire riuscendo a scardinare e mettere disordine sul piano della percezione della realtà, rimanendo uomo fra gli uomini, ancora oggi, come luminosa presenza.
(Antonio Miredi)
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Gustavo Adolfo Rol a Torino è nato ed è morto (20 giugno 1903 – 22 settembre 1994) e a San Secondo di Pinerolo, non molto lontano dalla città subalpina riposano le sue spoglie mortali. A Torino e a San Secondo la magnetica figura di Rol spesso viene ricordata e celebrata. Uno di questi ultimi eventi ed occasione per riunire amici, testimoni, persone legate in qualche modo a Rol, è stato quello vissuto il settembre scorso al Circolo Eridano di Torino, a ridosso del fiume Po e proprio dirimpetto a quel Valentino su cui Rol in vita poteva avere occasione di affacciarsi, e organizzato da Loredana Roberti e Susanna Medda Evento in cui in una conferenza sono intervenuti la scrittice oggi più qualificata a parlare di Rol, Paola Giovetti e l'ingegner Antonio Manzalini, sensibile studioso del rapporto fra la Fisica Quantistica e la vita umana. Un evento che ha visto la partecipazione attenta e motivata di tante persone arrivate da fuori Torino. Loredana Roberti è anche la principale anima di un gruppo social dedicato a Rol che permette non solo di mantere viva la memoria ma di creare continue occasioni di incontro, scambio spirituale ed empatico, attorno alla figura straordinaria di Rol
mercoledì 27 settembre 2023
L'ARTISTA LORENZO MARIA BOTTARI RENDE OMAGGIO A MODICA E ALLE SUE BAROCCHE CATTEDRALI
Alla Società Operaia di Mutuo Soccorso di Modica, Lorenzo Maria Bottari torna nella cittadina che ha dato i natali a Quasimodo con un nucleo corposo di Opere con al centro i gioielli barocchi del Duomo di San Pietro e di San Giorgio
FRA SIRENE E DRAGHI IL PRODIGIOSO
MEDITERRANEO DI LORENZO MARIA BOTTARI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ --------------------------------------------------------------------------------------------------------di ANTONIO MIREDI
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Salvatore Quasimodo
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I due gioielli di pietra del prodigioso barocco di Modica, con le facciate del Duomo di San Pietro e quello di San Giorgio, così riconoscibile e così diverso dal barocco di altri luoghi, nella pittura di Lorenzo Maria Bottari splendono entrambi di un azzurro celeste che è poi lo stesso azzurro marino delle sponde a scogliera d'approdo delle Sirene di Positano, dove l'artista ha tenuto la sua ultima mostra d'estate.
E sulla rotta mediterranea, novello moderno Odisseo, ora Lorenzo Maria Bottari ritorna alla sua nativa Sicilia, toccando ancora una volta la bella Modica, dove l'ultima volta con la sua antologica era stato omaggiato dalla presenza dell'artista Guccione, luogo familiare anche in virtù del sodalizio ideale e quasi sognato vissuto col poeta Salvatore Quasimodo, con la sua tavolozza festante e al contempo intimamente dolente, come del resto è tutta la poesia quasimodiana.
Una dolenza non ripiegata verso una memoria senza speranza, capace invece di aprirsi ai prodigi già abitati dal Mito e che ancora convivono in questa terra riarsa dal sole, dolce e ruvida come sa esserlo la particolare cioccolata di Modica, se solo sappiamo riconoscere e ritrovare le perdute cose.
Le creature mostruose per l'artista sono sempre creature di prodigiosa bellezza e conoscenza, come nel canto d'abbraccio delle Sirene o nel Drago pescato più che ucciso da San Giorno, con le sorridente dolcezza delle sue fauci. Quello che si lascia non è mai perduto ma sempre nuovo agli occhi dell'amore innocente e dell'arte genuina. (Antonio Miredi)
Lorenzo Maria Bottari, Le chiavi di Sn Pietro, 2023- tecinica mista su tela, cm 100x80
Lorenzo Maria Bottari, San Giorgio e il Drago, 2019, tecnica mista su tela, cm 70x50
mercoledì 19 luglio 2023
A TORRE PELLICE LE FORME SCULTOREE DI ENZO SCIAVOLINO E LE FOTOGRAFIE DI ELSA MEZZANO
Nello spazio espositivo Open ADA l’artista Enzo Sciavolino e la fotografa Elsa Mezzano formano un Teatro di forme scultoree dinamiche e di foto plasticamente vivide, e il mare come elemento figurativo nella sua doppia dimensione di ludica giocosità e dramma umano, con la cura e testo critico di Monica Mantelli, chiamata a dirigere artisticamente gli eventi d’arte inaugurati dal febbraio di quest’anno.
Lo spazio espositivo Open ADA di Torre Pellice
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Merita un viaggio anche in giornate di torrido luglio, la mostra di Sciavolino e Mezzano a Torre Pellice, amena cittadina della Val Pellice nel lembo occidentale del Piemonte quasi al confine con la Francia, per poter entrare in una sorta di Teatro del mare attraverso opere su tela, in legno dipinto, plexiglas e metallo. Trattasi di dinamiche forme scultoree e le fotografie su carta in un intenso bianco nero che si rivelano epifania di uno sguardo pronto a cogliere la drammaticità di queste forme. Titolo della mostra, Interaction. Tornare a scolpire il mare, con testo critico e cura di Monica Mantelli.
Due piani di livelli grazie a una scala in legno che fa da naturale cornice verticale, quasi un invito a non fermarsi alla orizzontalità del mare e delle cose. E’ un mare a più dimensioni quello raffigurato dall’artista in una celebrazione della verticalità che trova il suggello ideale in una figura celeste per eccellenza, quella di un angelo.
Le sinuose onde marine azzurrine che poi sfumano in un turchese celeste di grande suggestione poetica. Vi è un profondo rapporto tra il mare come luogo geografico e spazio metaforico vissuto dai poeti, abituali naviganti di bellezza e sogni chimerici e che possono ritrovare in Sciavolino tanta familiarità e interiore affinità.
In questo allestimento di nuova produzione del piano inferiore dedicato a Sciavolino si respira una brezza ludica e fanciullesca che non deve tuttavia trarre in inganno.
A ben sottinearlo è la stessa curatrice della mostra, Monica Mantelli, nel testo di presentazione: “Non è un caso che il suo linguaggio, tra calambour sorprendenti e medaglioni sospesi, incisioni allegoriche, armadietti apparentemente familiari, aprendosi rivelano crono-tragedie”.
Innanzitutto quelle tragedie che ogni giorno si vivono nel nostro mar Mediterraneo diventato per molti disperati una tomba a cielo aperto.
Tragedie che il mondo vuole ignorare, dimenticare, non guardare e che l‘artista con coraggio e denuncia civile sa mostrarci.
Simbolo universale di questa tragedia che si consuma in mare quel bambino di tre anni ritrovato riverso sulla spiaggia sabbiosa della costa della Turchia di anni fa. una foto di cronaca che quando fu pubblicata suscitò indignazione proprio per essere stata pubblicata, quando l’indignazione invece dovrebbe essere contro la nostra indifferenza.
Sciavolino a questa creatura innocente dedica una opera tra le più strazianti e lo fa con la dolcezza di una poesia.
A completamento dellla mostra, al piano superiore col titolo Lo sguardo di Elisa , ventiquattro fotografie in bianco e nero su carta pregiata e sviluppate in camera oscura. Fotografie delle opere scultoree di Sciavolino, anche compagno nella vita reale dell'artista fotografa, il cui sguardo coglie la plasticità drammaticamente poetica in un gioco di luce e ombra originale ed espressivo. A testimonianza di un percorso creativo dell'artista di tutto rispetto, un autoritratto e una suggestiva grande immagine orizzontale su tela, esposta alla Biennale di Venezia nel 1978, di grande fascino in cui l'artista Enzo Sciavolino viene ritratto nudo in una galleria di più pose sotto un albero in maniera così naturale da confondersi e mimetizzarsi con l’albero stesso. Non dimentichiamo che prima ancora di essere umani siamo stati alberi. (Antonio Miredi)
ENZO SCIAVOLINO
ENZO SCIAVOLINO
ENZO SCIAVOLINO
ENZO SCIAVOLINO
ELSA MEZZANO
ELSA MEZZANO
domenica 16 luglio 2023
UNA COVER AVVENIRISTICA DEL 1969 CANTATA DA DALIDA , "NEL 2023" ACCOLTA IN ITALIA CON POCA ATTENZIONE OGGI NELLA RICORRENZA DELL'ANNO DIVENTA VIRALE APPARENDO PROFETICA
La storia della canzone Nel 2023, per molti aspetti sia musicali che sociali, è interessante e merita di essere raccontata. Nel luglio del 1969 avveniva lo sbarco sulla luna, un evento televisivo epocale che sanciva la vittoria tecnologica e l'avvio di una conquista dello spazio inteso come motivo di progresso umano ma che in realtà rientrava anche nel clima di guerra fredda e rivalità tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Nello stesso periodo la classifica americana vedeva al primo posto una canzone di un duo folk prima di allora sconosciuto ai più: In the Year 2525 (Exordium & Terminus) di Denny Zager and Rick Evans, nativi del Nebraska. La canzone fu scritta nel 1964 ma fu registrata nel 1968, pubblicandola per una etichetta indipendente, la Truth Records. La canzone, che aveva cominciato a girare sulle radio del Texas, fu acquisita e ristampata dalla RCA nel 1969, facendone subito un successo internazionale. L'unico successo del duo pop-rock. Il tono apocalittico della canzone porta un forte messaggio umano e sociale, alludendo a un prossimo futuro in cui la macchina dominerà su tutto, persino sui sentimenti. Nell'anno del Festival di Woodstock, accanto a un collettivo movimento di libertà si respirava anche una forte corrente di contestazione pacifista e spirituale.
NEL 2023 DI DALIDA COME UN CANTO LITURGICO--------------------------------------------------------------------------------di ANTONIO MIREDI------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Il successo internazionale di In the Year 2525 (Exordium & Terminus) non sfugge a Dalida: In quegli anni, specie in Italia, tutti i cantanti facevano cover ma nessuno come Dalida sapeve interpretarle in maniera così personale da farle diventare "sue", in questo senso si può dire che Dalida è stata una vera Regina delle cover, oltre che Diva di canzoni del suo esclusivo reportorio.E per prima Dalida presenta al pubblico italiano Nel 2023, con testo scritto da Daniele Pace a Canzonissima il 6 dicembre 1969. Rigorosamente vestita di nero, come rimarcherà con un sorrisino di sarcastica ironia Jonny Dorelli, presentatore di quell'anno della manifestazione canora, senza annullarne la magnetica sacralità con cui viene interpretata. Fin dal suo attacco musicale iniziale la canzone si impone in maniera fortemente dramamtica. Il testo italiano per quanto lontano dall'originale americano, conserva l'impianto millenaristico e apocalittico anche se Dalida ne mitiga l'aspetto più sociale imprimendo una grazia quasi liturgica. L'uso sapiente delle mani, non a caso con le braccia aperte come in una preghiera, il viso rivolto al cielo, gli occhi pronti ad essere chiusi e poi riaperti, e nel finale con la parola "infinito", come d'abitudine con la sua Ciao amore ciao, eccola indietreggiare per poi ritornare con un sorriso di ringraziamento. Una messa in scena con una forte spiritualità e partecipazione. Per capire meglio questa particolare interpretazione di Dalida bisogna accostarla alla versione apparsa l'anno successivo di Caterina Caselli, anche se come lato b di un'altra cover internazionale, L’umanità (Simpathy). La canzone per lo più riprende le stesse parole di Pace cantate da Dalida, ma con significative variazioni di cui si parlerà dopo. A cambiare è innanzitutto l'ararngiamento musicale, nella Caselli fin dall'inizio la canzone è dominata da un basso ossessivo, che la inquadra in un genere musicale pop-rock, anche nella ripresa in senso più beat del ritornello Oh, oh, oh che diventa OWOOH OWOOH.
Ma sono le poche significative variazioni del testo che ne misurano la distanza abissale fra le due versioni. Nella Caselli si accenna a un figlio e il motivo delle stelle ha un valore di ricordo nostalgico; niente di tutto questo con Dalida, la figura del figlio scompare del tutto, e al posto della nostaglia di un affetto familiare si entra in una atmosfera mistica seppure visionariamente apocalittica. Sono le ultime parole che nel rascoltarle oggi, anno di grazia 2023, appaiono profeticamente inquietanti. A differenza della Caselli che accenna alla sua scomparsa solo nel siderale anno 6033, Dalida canta solennemente "Nel 2023 io non ci sarò più ma tu mi cercherai nell'infinito".
C'è intanto da chiedersi, chi ha voluto questa variazione, la produzione o la stessa Dalida? A tutt'oggi non abbiamo una certezza, è fuor di dubbio tuttavia che la forte personalità di Dalida si imponeva oltre la scelta della gestualità, nelle riprese televisive della telecamera, intervenendo quando poteva anche sul testo. Insomma, nel 1969 accennare alla sua scomparsa nel 2023, una data senza dubbio allora lontana ma non impossibile da raggiungere (Dalida se fosse ancora viva avrebbe avuto 90 anni!), poteva sembrare una forzatura provocatoria. La particolarità della versione italiana risulta ancora di più significativa se l'accostamneto viene fatto con la versione francese della canzone, affidata a Boris Bergman e sempre cantata da Dalida, anche se per ragioni di ritmo e rima linguistica cambia la data, anticipandola addirittura al 2005. La versione francese nel testo in più passaggi e più vicina all'originale del duo americano, la parola morte non appare mai e la canzone si chiude con un interrogativo niente affatto avveniristico,interrogandosi se nel 2005 l'uomo riuscirà finalmente a capire in cosa consista la felicità: E a questa diversa versione delle parole Dalida affida la sua interpretazione quando la canta in Francia, dando alla interpretazine la sua connaturata intensità ma senza nessuna connotazione drammatica
Interessante capire come oggi la stessa canzone viene accolta, visto che nell'epoca social è diventata in Italia un cult virale. All'epoca non ci fu attenzione, la canzone venne accolta con sufficienza e Dalida non riuscì nememno a passare, nella gara canora di Canzonissima, il turno alla settimana successiva. In un certo senso in parte ne segna un certo declino di successo discografico italiano, anche se non mancheranno altre cover di successo come Mamy Blue,. A distanza di anni ecco arrivare a soprpresa, ma fino a un certo punto una soprpresa, un successo di immagine diventato di massa. Anche il sito gossip di Roberto D'Agostino, Dagospia, ne ha parlato riprendendo la citazione di Dario Salvatori che la definisce "La canzone più catastrofiaca" della discografia internazionale! A leggere i tantissimi connenti sulle piattaforme social più svaritae, alcuni persino deliranti, pochi ne approfondiscono la complessissità di una interpretaione spiritualmente partecipata. L'onda prevalente è quella apocalittica a volte complottista...
Dalida continua dunque a suscitare interesse, a dare vibrazioni di emozioni, comunicando in maniera esemplare, con la voce e la gestualità, ancora in maniera viva su questa nostra Terra. (Antonio Miredi)
mercoledì 28 giugno 2023
40 ANNI FA L'OMICIDIO DEL PROCURATORE CAPO BRUNO CACCIA. TORINO LO RICORDA CON DUE EVENTI TEATRALI, ATTRAVERSO I RICORDI DEI FIGLI
Il primo e unico Procuratore della Repubblica assassinato dalla mafia al Nord. Intrecci inconfessabili tra 'ndrangheta calabrese, cosca catanese, Funzionari dello Stato e persino una zona grigia della stessa Magistratura. Una vicenda giudiziaria complessa con depistaggi, interessi economici radicati nella società civile, riciclaggio di denaro sporco. E con una sentenza definitiva della verità giudiziaria per certi aspetti ancora distante rispetto a una sua verità storica.
Un esemplare esempio di coraggio e sacrificio pagato con la vita di un Magistrato per troppi anni scivolato in un imperdonabile oblio.
A mantenere viva la memoria due eventi teatrali nella città in cui l'omicidio si è consumato, il monologo dell'attore Andrea Bruno con un intervento di living art di Andrea Chidichimo e il Recital di Elena Frida Mino insieme a Pietra Selva e Raffaella Tomellini. Un modo efficace attraverso l'arte e il teatro per veicolare un forte messaggio di legalità e le umane emozioni, grazie anche ai ricordi privati dei tre figli del Procuratore, Guido, Paola e Cristina Caccia presenti durante gli eventi.
Il Procuratore Capo di Torino Bruno Caccia
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UN UOMO NORMALE CON IL CORAGGIO DELL'ONESTA'--------------------------------------------------------------------------------------------- di ANTONIO MIREDI------------------------------------------------------------------------------------------------------ Era una domenica calda e apparentemente tranquilla a Torino quel 26 giugno 1983 con i seggi elettorali appena chiusi. In via Sommacampagna poco prima della mezzanotte, Bruno Caccia porta fuori il suo cagnolino. Al rientro a casa, un'auto con due passeggeri lo affianca e uno scarica di proiettili lo scaraventa lungo il marciapiede. E per essere certi del risultato, un'ultima scarica ravvicinata in un vero e proprio agguato premeditato.
Un cadavere eccellente in una città del Nord, una cosa impensabile. Un finto comunicato delle Brigate Rosse da subito cerca di depistare le indagini che tuttavia portano man mano alla pista dei clan calabresi e catanesi, ormai radicati in Piemonte già dagli anni settanta con poca attenzione mediatica. A ripercorrere la vicenda di questo anomalo omicidio, nel quarantennale dell'anniversario, un primo evento teatrale si è svolto a Torino il il 26 maggio 2023, nello spazio eventi di Piazza dei Mestieri con il titolo Il caso Caccia. Una storia nascosta, scritto e intrepretato da Andrea Bruno e una Action Painting di Andrea Chidichimo.
( Foto Mauro Simolo )----------------------------------------------------------------------------------------------------
Un monologo serrato, con la vividezza di una recitazione non guidata dalla lettura di un testo definitivo ma sedimentato in una lunga e paziente ricerca di documentazione e la preziosa testimonianza della famiglia del Procuratore, in particolare di Paola Caccia, presente all'evento di Piazza dei Mestieri.
La storia giudiziaria si mescola a quella sociale, la figura umana e privata si amalgama alla storia della Torino di quegli anni feroci politicamente ma spensierati attraverso le hit canore come quelle dei Righeira. A rendere visivamente più plastico il racconto fluido e veloce, l'azione pittorica performativa dell'artista Chidichimo che non risparmia energia coi sui ampi gesti nel colorare, disegnare e scrivere sui grandi fogli bianchi che man mano cambiano scenario. Una storia intricata, con le diverse diramazioni e piste pronte a intrecciarsi in un intrico di corruzione e illegalità. Ogni tanto il racconto di Andrea Bruno deborda in esperienze personali, in scenette del quotidiano familiare di ognuno in cui spesso i pregiudizi si mescolano alla pigrizia nel lasciar scorrere le cose senza una critica consapevolezza.
Un modo anche per lasciare libero sfogo a quella vena satirica, paradossale, sovente improvvisata, che caratterizzano la recitazione dell'attore.
( L'attore Andrea Bruno e l'artista Andrea Chidichimo, foto di Marco Begani)
( La testimonianza di Paola Caccia all'avento teatrale di Piazza dei Mestieri, "Il caso Caccia. Una storia nascosta, foto di Emanuele Pensavalle)
( Il Manifesto del Recital "Via Sommacampagna: in ricordo di Bruno Caccia". Di e con Eleonora Frida Mino, Tomellini Raffaella, Pietra Selva, Illustrazione di Giulia Salza )
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Più didascalico e lineare, ma non meno labirintico e vivido, il Recital che si è tenuto a Torino, negli spazi di Binaria, di Eleonora Frida Mino, Raffaella Tomellini e Selva Pietra. Un recital teatrale a tre voci che mette a fuoco la vicenda giudiziaria e sociale ma soprattutto l'uomo, il marito, il padre. I ricordi familiari di tutti i tre figli del Procuratore, vengono rivissuti in una corale lettura femminile molto partecipata di indignazione e commozione. Le anime femminili di tre attrici tradotte in una scrittura a più mani, ma unitaria e armoniosamente tessuta. Un momento toccante, tale da avere la bellezza di una visione epifanica nel ricordo di una foto davanti a una baita di montagna, in cui Caccia e la moglie improvvisano un ballo, è stato quando il silenzio della parola si è trasferito in un intimo ballo di tango inscenato da Eleonora Frida Mino. Un delicato cammeo teatrale al suono delle note di Violno Tzigano, canzone amata dal Procuratore.
Le piccole grandi gioie che Bruno Caccia sapeva vivere in famiglia e nel privato, da uomo normale, la cui onestà e rettitudine morale incorruttibile lo ha fatto diventare, suo malgrado, un Eroe. Sciagurato quel Paese che è costretto a vivere di Eroi, vittime di una criminalità organizzata spesso connivente con gli apparati dello Stato. Un Teatro civile che si mette al servizio della Memoria, insieme alla testimonianza dei familiari, per bisogno di giustizia e per un dovere civile da offrire alle nuove generazioni, è una forma di lotta dignitosa in una società dominata da conformismo e pavida indifferenza.
(Antonio Miredi)
( Un momento del Recital "Via Sommacampagna: in ricordo di Bruno Caccia". Di e con Eleonora Frida Mino, Tomellini Raffaella, Pietra Selva, foto Antonio Miredi )
La preziosa testimonianza dei figli del Procuratore, Guido, Paola e Cristina Caccia, foto di Susanna Medda )
giovedì 8 giugno 2023
CHIUSA CON SUCCESSO E GRANDE INTERESSE A BERGAMO LA MOSTRA SU FRANCESCO BONERI DETTO CECCO DEL CARAVAGGIO
Un artista provocatoriamente audace, volutamente misterioso, modernamente anticonformista, con un suo originale messaggio pittorico. La mostra CECCO DEL CARAVAGGIO.L'allievo modello, la prima nel mondo dedicata all'artista bergamasco, si è rivelata una vera scoperta artistica grazie anche alla trentennale ricerca di Gianni Papi. Una ricerca artistica indiziaria per certi aspetti romanzesca pur rimanendo rigorosa.
Cecco del Caravaggio, "Fabbricante di strumenti musicali", 1610 c.
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UNA NUDA E CRUDA RAPPRESENTAZIONE DEL DESIDERIO
di Antonio Miredi-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
E' stato il primo grande evento a Bergamo, capitale della Cultura insieme a Brescia nel 2023, la mostra tenuta nella storica sede della Accademia Carrara da poco riallestita CECCO DEL CARAVAGGIO. L'allievo modello, conclusa con successo di pubblico e suscitando grande interesse critico, nel riunire per la prima volta in Italia e nel mondo ben 19 opere di un artista talmente misterioso da rimanere senza un vero nome e senza che si sapesse nulla circa anno di nascita e di morte e origini geografiche ancora fino a una trentina di anni fa.
La mostra è stata curata da Maria Cristina Rodesceni, Direttrice della Accademia Carara, e da Gianni Papi, storico esperto di Cecco del Caravaggio e vero protagonista di una trentennale ricerca per certi aspetta romanzesca attarverso un metodo e un approccio anche intuitivo e indiziario. Intuizioni indiziare spesso confermate da recenti scoperte di fonti e altri contributi di storici e critici che hanno permesso senza ormai dubbi di risalire al vero nome in Francesco Boneri la cui famiglia è risultata originaria della terra di Bergamo.
Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Ritratto di giovane con colletto a lattuga (Autoritratto? Firenze, Gallerie degli Uffizi) ---------------------------------------
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Il primo a cercare si svelare il mistero dell'artista che è stato anche adolescente garzone, modello del geniale Caravaggio ed egli stesso pittore, facendolo uscire da una sorta di damnatio memoriae è stato naturalmnete con la sua autorevolezza Roberto Longhi, in un certo senso l'inventore in senso contemporaneo di Michelangelo Merisi, oggi vero mito pop, assegnando al pittore bergamasco a partire dal 1943 alcuni dipinti diventati veri cardini di uno studio appassionato e una scrupolosa e lunga ricerca da parte poi di Gianni Papi.
Pur essendo evidente l'influenza del Maestro, a cui rimane artisticamente e biograficamente legato persino nel nome, la mostra di Bergamo ha permesso con l'accostamento di tante opere di far notare l'orginalità pittorica di Cecco rispetto alla cerchia dei caravaggechi. E si potrebbe aggiungere che anche rispetto a Caravaggio, Francesco Boneri mantiene una sua cifra ancora più ardita e provocatoria, dovuta innegabilmente alla assiduaa intima familiarità e a una quasi sfida per non apparire un epigono e per una volontà di distinzione verso la società del suo tempo che tendeva a sminuirlo per più motivi. Come dimostra il nome di Cecco del Caravaggio, nome usato in senso dispregiativo anche con la variante di Checco del Caravaggio a evidenziarne la natura palesemente omosessuale che si era stabilita fra i due artisti lombardi e tramandata anche dopo la morte di entrambi, facendo scivolare la storia artistica in un silenzio durato troppo tempo. Originalità di Francesco Boneri, detto Cecco del Caravaggio, che a noi contemporanei ci appare spregiudicatamente moderna per quella sua rappresentazione ostentatamente anticonformista e trasgressiva nel suo esito di finzione teatrale in una potente cornice realistica e simbolica.
Quasi cinematograficamente riportare alla memoria un'avventura cominciata come modello in tanti quadri di Caravaggio, soprattutto per il famosissimo scandaloso Amor vincit omnia, del Marchese Giustiniani, oggi conservato nella Gemäldegalerie di Berlino, purtoppo non presente alla Mostra di Bergamo, opera da Francesco Boneri rivisitata in maniera ambigua e perversamente sensuale in Amore alla fonte e nel San Giovanni Battista che del primo ne conserva la postura e la nudità.
Plasticità teatrale che ben si rirova anche nelle opere di argomento religioso in maniera più allusiva e nascosta come L'andata al Calvario o quel vero capolavoro che è la bellissima intensa Cacciata dal Tempio dove Cecco si ritrae alla estremità opposta del Cristo, in abiti eleganti e aria compiacitua col suo elegante voluttuso copricapo color porpora a rivelarne un certo dandysmo giovanile, altra diversa caratteristica della sua natura diffrente al Maestro con cui è riuscito anche a non condividere lo spirito risssoso e brutale, al punto per fortuna da tenerlo lontano dalla cronoca giudiziaria dell'epoca.
Per chi si è perso la Mostra e per chi vuole anche approfondire il discorso attorno a Francesco Boneri, rimane il bel prezioso Catalogo edito da Skira e a cura ancora di Gianni Papi, con contributi critici di Francesca Curti, Fabrizio Rubini, Enrico De Pascale.------------------------------------------
( Atonio Miredi)
Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Amore al fonte ( Collezione Koelliker)
Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, San Giovanni Battista al fonte, Venezia, Collezione Pizzi)
Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Tributo della moneta; Vienna, Kunsthistorisches Museum, Picture Gallery)
Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Andata al Calvario ; Bratislava, Slovak National Gallery
Francesco Boneri detto Cecco del Caravaggio, Cacciata dei mercanti dal tempio (1613-1615 circa, Berlino, Gemäldegalerie)
venerdì 5 maggio 2023
STRANIZZA D'AMURI DI GIUSEPPE FIORELLO: UN ESORDIO ALLA REGIA TOCCATO DALLA GRAZIA
Ispirato a un fatto di cronaca, la tragica morte di due giovani, un film dolce e feroce che al contempo è un atto d'amore alla libertà dell'innamoramento
---------- COME CONIGLI SELVAGGI COLPITI NELLA MACCHIA --------------------------------------------------------- di Antonio Miredi
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Arriva come una felice sorpresa il primo film da regista di Beppe Fiorello ed è una sfida superbamente vinta da un attore bravo e simpatico ma che rischiava di rimanere ingabbiato nella fissità di canone da fiction e spettacolo televisivo.
Estate del 1982, in una brulla e calda Sicilia della provincia agricola attorno a Catania, il piccolo Totò e il sedicenne Nino accompagnano lo zio a caccia di conigli selvatici. Gli spari che squarciano l'aria sono così violenti che Totò deve coprire le orecchie per attutirne l'impatto. Si apre così il film, mettendo in parallelo ma pronte a vivere una vicenda comune, due famiglie diverse le quali devono misurarsi, nella dimessa e a tratti giocosa quotidianità, con una rete di conflitti vissuti nel chiuso claustrofobico e feroce delle mura domestiche. Una claustrofobia atavica dove le regole rigidamente costruite da secoli, servono a mantenere codici di gerarchia patriarcale, in netto contrasto con l'accecante libertà e solarità della Natura, soprattutto in una estate in cui l'Italia sembra vivere un nuova ubriacatura di successo economico e che la vittoria agli europei di calcio rende più esaltante.
La vita di Nino sembra svolgersi piuttosto movimentata e allegra, nella periferica e aperta contrada dove accanto alla casa, una roulotte accomuna una famiglia allargata. Nino accompagna e aiuta il padre in un lavoro pericoloso ma pieno di magia: far esplodere per le feste di paese colorati e scoppiettanti fuochi pirotecnici. Il suo aiuto è prezioso, soprattutto nei momenti in cui il padre sofferente di asma è preso da improvvisi attacchi. Diverso e più amaro il contesto in cui si trova a vivere Gianni, l'altro sedicenne protagonista della storia. Un riformatorio alle spalle, un padre inesistente, Gianni deve fare i conti con un paese chiuso e retrogrado, pronto a mormorare e a guardarlo con scherno. Uno scherno in cerca di pretesti per diventare violenza gratuita da parte del gruppo di giovinastri perdigiorno sempre a bivaccare e divertirsi al bar di fronte all'officina dove Gianni dà una mano al torvo convivente della madre.
La consegna di un motorino riparato sarà l'occasione per fare "scontrare" e incontrare i due giovani adolescenti, e per Gianni la possibiltà di un lavoro capace di portarlo lontano dal mondo balordo di paese. Nino e Gianni si trovano così a vivere una breve stagione di amicizia.
Lo scenario notturno in cui esplodono i fuochi diventerà anche la magica cornice in cui l'amicizia si trasforma in un imprevisto e irresistibile sentimento nuovo.
Stranizza d'Amuri è la storia di un innamoramento, il grande miracolo e mistero umano che è una energia sempre nuova di gioia che arriva a danzarci dentro e si manifesta crescendo come una travolgente fiumana, superando argini e confini di genere, di età, condizione... Un innamoramento capace in uno sguardo di farci vedere l'infinito. Oltre questa libertà dell'amore, il film è un malinconico e meraviglioso atto d'amore a Battiato, da cui arriva il titolo, e alla terra di Sicilia coi suoi profumi forti e i luoghi segreti ma anche coi padri capaci di rifiutare i propri figli irregolari e le madri diventare crudeli madri di morte.
Stranizza d'Amuri è anche un film di dolorosi e commoventi contrasti: la purezza e la bellezza dei sorrisi dei due ragazzi e la volgarità dei modi di tutti gli altri, escluso il piccolo Totò col suo sguardo innocente e geloso nell'osservare la vita e pronto già ad imparare come si colpisce un coniglio brado, vincendo di colpo l'urto dello sparo.
Il contrasto dell'azzurra libertà del mare e lo scempio del cemento di un cavalcavia, dove Nino e Gianni possono veloci col motorino volare lontano.
La regia di Giuseppe Fiorello si muove con una grazia e un ritmo da tenere avvinghiati alla poltrona di una sala senza che si avverta la lunghezza del film. Anzi, capitando di vedere su internet alcune scene del film tagliate, viene da chiedersi se tale sacrificio era proprio necessario, come con la mirabile scena dell'entrata in una chiesa barocca in cui l'immagine del Santo improvvisamente viene accesa di fronte agli occhi incantati dei due ragazzi
Memorabili restano molte scene, il dolce e malinconico ballo tra Gianni e sua madre con le note musicali della canzone di Umberto Bindi. Gianni che pettina i capelli corvini della madre, i fuochi d'artificio che esplodono nella gioia interrotta da uno schiaffo minaccioso, l'invito di un caffè che è un regolamento di conti...
Persino quelle scene che all'inizio appaiono caricate e manierate sono in realtà naturali nel loro contesto di paesi del Sud. Ma tutta questa grazia di regia sarebbe stata non possibile senza la eccezionale bravura di un cast collettivo di attori,i dialoghi, la fotografia, il montaggio, le musiche. Le note di Battiato e quelle originali e destinate a rimanere storia di tema musicale, di Giovanni Caccamo, Leonardo Milani.
Un incanto commovente e muto reso con semplicità straordinaria dai due protagonisti, così efficace proprio perchè trasmette una purezza adolescenziale che si fa fatica a riconoscere in giro fra molti giovani e che è invece autentica anche nella vita dei due giovanissimi attori fuori lo schermo, Samuele Segreto (Gianni) e Gabriele Pizzurro (Nino).
Quella età strana, difficile e divina che è l'adolescenza.
Il film è dedicato alle due giovani vittime del fatto di cronaca accaduto a Giarre nell'ottobre del 1980, Giorgio ed Antonio, morti soltanto per la colpa di amarsi. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Antonio Miredi
#stranizzadamuri