mercoledì 19 luglio 2023
A TORRE PELLICE LE FORME SCULTOREE DI ENZO SCIAVOLINO E LE FOTOGRAFIE DI ELSA MEZZANO
Nello spazio espositivo Open ADA l’artista Enzo Sciavolino e la fotografa Elsa Mezzano formano un Teatro di forme scultoree dinamiche e di foto plasticamente vivide, e il mare come elemento figurativo nella sua doppia dimensione di ludica giocosità e dramma umano, con la cura e testo critico di Monica Mantelli, chiamata a dirigere artisticamente gli eventi d’arte inaugurati dal febbraio di quest’anno.
Lo spazio espositivo Open ADA di Torre Pellice
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- SCALARE IL MARE E RITROVARE IL CIELO di >Antonio Miredi--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Merita un viaggio anche in giornate di torrido luglio, la mostra di Sciavolino e Mezzano a Torre Pellice, amena cittadina della Val Pellice nel lembo occidentale del Piemonte quasi al confine con la Francia, per poter entrare in una sorta di Teatro del mare attraverso opere su tela, in legno dipinto, plexiglas e metallo. Trattasi di dinamiche forme scultoree e le fotografie su carta in un intenso bianco nero che si rivelano epifania di uno sguardo pronto a cogliere la drammaticità di queste forme. Titolo della mostra, Interaction. Tornare a scolpire il mare, con testo critico e cura di Monica Mantelli.
Due piani di livelli grazie a una scala in legno che fa da naturale cornice verticale, quasi un invito a non fermarsi alla orizzontalità del mare e delle cose. E’ un mare a più dimensioni quello raffigurato dall’artista in una celebrazione della verticalità che trova il suggello ideale in una figura celeste per eccellenza, quella di un angelo.
Le sinuose onde marine azzurrine che poi sfumano in un turchese celeste di grande suggestione poetica. Vi è un profondo rapporto tra il mare come luogo geografico e spazio metaforico vissuto dai poeti, abituali naviganti di bellezza e sogni chimerici e che possono ritrovare in Sciavolino tanta familiarità e interiore affinità.
In questo allestimento di nuova produzione del piano inferiore dedicato a Sciavolino si respira una brezza ludica e fanciullesca che non deve tuttavia trarre in inganno.
A ben sottinearlo è la stessa curatrice della mostra, Monica Mantelli, nel testo di presentazione: “Non è un caso che il suo linguaggio, tra calambour sorprendenti e medaglioni sospesi, incisioni allegoriche, armadietti apparentemente familiari, aprendosi rivelano crono-tragedie”.
Innanzitutto quelle tragedie che ogni giorno si vivono nel nostro mar Mediterraneo diventato per molti disperati una tomba a cielo aperto.
Tragedie che il mondo vuole ignorare, dimenticare, non guardare e che l‘artista con coraggio e denuncia civile sa mostrarci.
Simbolo universale di questa tragedia che si consuma in mare quel bambino di tre anni ritrovato riverso sulla spiaggia sabbiosa della costa della Turchia di anni fa. una foto di cronaca che quando fu pubblicata suscitò indignazione proprio per essere stata pubblicata, quando l’indignazione invece dovrebbe essere contro la nostra indifferenza.
Sciavolino a questa creatura innocente dedica una opera tra le più strazianti e lo fa con la dolcezza di una poesia.
A completamento dellla mostra, al piano superiore col titolo Lo sguardo di Elisa , ventiquattro fotografie in bianco e nero su carta pregiata e sviluppate in camera oscura. Fotografie delle opere scultoree di Sciavolino, anche compagno nella vita reale dell'artista fotografa, il cui sguardo coglie la plasticità drammaticamente poetica in un gioco di luce e ombra originale ed espressivo. A testimonianza di un percorso creativo dell'artista di tutto rispetto, un autoritratto e una suggestiva grande immagine orizzontale su tela, esposta alla Biennale di Venezia nel 1978, di grande fascino in cui l'artista Enzo Sciavolino viene ritratto nudo in una galleria di più pose sotto un albero in maniera così naturale da confondersi e mimetizzarsi con l’albero stesso. Non dimentichiamo che prima ancora di essere umani siamo stati alberi. (Antonio Miredi)
ENZO SCIAVOLINO
ENZO SCIAVOLINO
ENZO SCIAVOLINO
ENZO SCIAVOLINO
ELSA MEZZANO
ELSA MEZZANO
domenica 16 luglio 2023
UNA COVER AVVENIRISTICA DEL 1969 CANTATA DA DALIDA , "NEL 2023" ACCOLTA IN ITALIA CON POCA ATTENZIONE OGGI NELLA RICORRENZA DELL'ANNO DIVENTA VIRALE APPARENDO PROFETICA
La storia della canzone Nel 2023, per molti aspetti sia musicali che sociali, è interessante e merita di essere raccontata. Nel luglio del 1969 avveniva lo sbarco sulla luna, un evento televisivo epocale che sanciva la vittoria tecnologica e l'avvio di una conquista dello spazio inteso come motivo di progresso umano ma che in realtà rientrava anche nel clima di guerra fredda e rivalità tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Nello stesso periodo la classifica americana vedeva al primo posto una canzone di un duo folk prima di allora sconosciuto ai più: In the Year 2525 (Exordium & Terminus) di Denny Zager and Rick Evans, nativi del Nebraska. La canzone fu scritta nel 1964 ma fu registrata nel 1968, pubblicandola per una etichetta indipendente, la Truth Records. La canzone, che aveva cominciato a girare sulle radio del Texas, fu acquisita e ristampata dalla RCA nel 1969, facendone subito un successo internazionale. L'unico successo del duo pop-rock. Il tono apocalittico della canzone porta un forte messaggio umano e sociale, alludendo a un prossimo futuro in cui la macchina dominerà su tutto, persino sui sentimenti. Nell'anno del Festival di Woodstock, accanto a un collettivo movimento di libertà si respirava anche una forte corrente di contestazione pacifista e spirituale.
NEL 2023 DI DALIDA COME UN CANTO LITURGICO--------------------------------------------------------------------------------di ANTONIO MIREDI------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Il successo internazionale di In the Year 2525 (Exordium & Terminus) non sfugge a Dalida: In quegli anni, specie in Italia, tutti i cantanti facevano cover ma nessuno come Dalida sapeve interpretarle in maniera così personale da farle diventare "sue", in questo senso si può dire che Dalida è stata una vera Regina delle cover, oltre che Diva di canzoni del suo esclusivo reportorio.E per prima Dalida presenta al pubblico italiano Nel 2023, con testo scritto da Daniele Pace a Canzonissima il 6 dicembre 1969. Rigorosamente vestita di nero, come rimarcherà con un sorrisino di sarcastica ironia Jonny Dorelli, presentatore di quell'anno della manifestazione canora, senza annullarne la magnetica sacralità con cui viene interpretata. Fin dal suo attacco musicale iniziale la canzone si impone in maniera fortemente dramamtica. Il testo italiano per quanto lontano dall'originale americano, conserva l'impianto millenaristico e apocalittico anche se Dalida ne mitiga l'aspetto più sociale imprimendo una grazia quasi liturgica. L'uso sapiente delle mani, non a caso con le braccia aperte come in una preghiera, il viso rivolto al cielo, gli occhi pronti ad essere chiusi e poi riaperti, e nel finale con la parola "infinito", come d'abitudine con la sua Ciao amore ciao, eccola indietreggiare per poi ritornare con un sorriso di ringraziamento. Una messa in scena con una forte spiritualità e partecipazione. Per capire meglio questa particolare interpretazione di Dalida bisogna accostarla alla versione apparsa l'anno successivo di Caterina Caselli, anche se come lato b di un'altra cover internazionale, L’umanità (Simpathy). La canzone per lo più riprende le stesse parole di Pace cantate da Dalida, ma con significative variazioni di cui si parlerà dopo. A cambiare è innanzitutto l'ararngiamento musicale, nella Caselli fin dall'inizio la canzone è dominata da un basso ossessivo, che la inquadra in un genere musicale pop-rock, anche nella ripresa in senso più beat del ritornello Oh, oh, oh che diventa OWOOH OWOOH.
Ma sono le poche significative variazioni del testo che ne misurano la distanza abissale fra le due versioni. Nella Caselli si accenna a un figlio e il motivo delle stelle ha un valore di ricordo nostalgico; niente di tutto questo con Dalida, la figura del figlio scompare del tutto, e al posto della nostaglia di un affetto familiare si entra in una atmosfera mistica seppure visionariamente apocalittica. Sono le ultime parole che nel rascoltarle oggi, anno di grazia 2023, appaiono profeticamente inquietanti. A differenza della Caselli che accenna alla sua scomparsa solo nel siderale anno 6033, Dalida canta solennemente "Nel 2023 io non ci sarò più ma tu mi cercherai nell'infinito".
C'è intanto da chiedersi, chi ha voluto questa variazione, la produzione o la stessa Dalida? A tutt'oggi non abbiamo una certezza, è fuor di dubbio tuttavia che la forte personalità di Dalida si imponeva oltre la scelta della gestualità, nelle riprese televisive della telecamera, intervenendo quando poteva anche sul testo. Insomma, nel 1969 accennare alla sua scomparsa nel 2023, una data senza dubbio allora lontana ma non impossibile da raggiungere (Dalida se fosse ancora viva avrebbe avuto 90 anni!), poteva sembrare una forzatura provocatoria. La particolarità della versione italiana risulta ancora di più significativa se l'accostamneto viene fatto con la versione francese della canzone, affidata a Boris Bergman e sempre cantata da Dalida, anche se per ragioni di ritmo e rima linguistica cambia la data, anticipandola addirittura al 2005. La versione francese nel testo in più passaggi e più vicina all'originale del duo americano, la parola morte non appare mai e la canzone si chiude con un interrogativo niente affatto avveniristico,interrogandosi se nel 2005 l'uomo riuscirà finalmente a capire in cosa consista la felicità: E a questa diversa versione delle parole Dalida affida la sua interpretazione quando la canta in Francia, dando alla interpretazine la sua connaturata intensità ma senza nessuna connotazione drammatica
Interessante capire come oggi la stessa canzone viene accolta, visto che nell'epoca social è diventata in Italia un cult virale. All'epoca non ci fu attenzione, la canzone venne accolta con sufficienza e Dalida non riuscì nememno a passare, nella gara canora di Canzonissima, il turno alla settimana successiva. In un certo senso in parte ne segna un certo declino di successo discografico italiano, anche se non mancheranno altre cover di successo come Mamy Blue,. A distanza di anni ecco arrivare a soprpresa, ma fino a un certo punto una soprpresa, un successo di immagine diventato di massa. Anche il sito gossip di Roberto D'Agostino, Dagospia, ne ha parlato riprendendo la citazione di Dario Salvatori che la definisce "La canzone più catastrofiaca" della discografia internazionale! A leggere i tantissimi connenti sulle piattaforme social più svaritae, alcuni persino deliranti, pochi ne approfondiscono la complessissità di una interpretaione spiritualmente partecipata. L'onda prevalente è quella apocalittica a volte complottista...
Dalida continua dunque a suscitare interesse, a dare vibrazioni di emozioni, comunicando in maniera esemplare, con la voce e la gestualità, ancora in maniera viva su questa nostra Terra. (Antonio Miredi)