lunedì 28 dicembre 2020
CIRCUMNAVIGANDO UN ENIGMA: YUKIO MISHIMA
In occasione dei 50 anni dalla morte del grande scrittore nipponico, Danilo Breschi ripercorre il pensiero e l’azione della multiforme anima di Mishima, con una suggestiva monografia (Luni Editrice) che attraversa il copioso corpus narrativo e saggistico, cercando di decifrarne la coerenza di un enigma.
Testo di Antonio Miredi
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Per capire meglio la spinta che anima il testo critico di Danilo Breschi, che ruota attorno alla figura di Yukio Mishima, bisogna partire dalla citazione dello scrittore colombiano Nicolas Gomes Davila: *Amare è fare la ronda senza posa intorno all’imprendibilita di un essere”
Per quanto il libro sia uscito come novità editoriale in occasione di un tondo anniversario, 50 dalla morte con suicidio rituale alla maniera degli antichi samurai giapponesi, a muoverlo è innanzitutto un omaggio-passione verso uno scrittore a tratti controverso ma fondamentalmente controcorrente e lucidamente profondo nelle sue analisi, spesso taglienti come un bisturi chirurgico. E accanto a questo omaggio, una vigile attenzione pronta a scrutare e individuare nessi, pulsioni, rimandi logici e analogici.
Il titolo della monografia " Yukio Miscima- Enigma in cinque atti" riecheggia quello di un premiato film di Paul Schrader del 1985, con le musiche calzanti di Philip Glass, "Mischima-Una vita in quattro capitoli", e in effetti, pur operando una sorta di viaggio lungo il percorso miscimiano, Danilo Breschi utilizza nel suo testo una ritualità di passaggi dove gli “atti” assumono la pregnanza di laiche stazioni misteriche.
Non è casuale l’aver aperto il libro, capovolgendo l’ordine cronologico biografico e narrativo, con gli ultimi momenti dello scrittore e con la focalizzazione del suicidio come atto di devozione imperiale e plateale cruenta protesta contro un Giappone ormai irrimediabilmente votato
all' americanizzazione consumistica, tradendo gli antichi ideali e valori di un codice orientale millenario.
L'epilogo si presenta come prologo così come il prologo si presenta come epilogo in un perfetto cerchio esistenziale e narrativo che ha tutto il simbolo di un Uroboro, il serpente che si morde la coda nella rappresentazione di un eterno ritorno filosofico ed esistenziale.
Immagine tanto cara al filosofo tedesco dell'Oltreuomo Friedrich Nietzsche, una delle figure più amate e ricorrenti nella narrativa e nella analisi di Mischima, accanto a Kierkegaard, Dostoeviiskij, Rilke, Camus e altri, tutti accomunati da una forte problematica compenetrazione di vita e opera, che in Mischima si traduce soprattutto in scrittura e azione.
Tutti autori profondamente occidentali che hanno vissuto ed esperimentato la crisi della stessa cultura occidentale e che potevano servire da specchio all'indomito spirito di Mischima di fronte alla crisi di una coscienza nazionale.
Danilo Breschi fa parlare nel suo libro molto queste figure, attraverso citazioni e relativi riconsiderazioni dello scrittore per meglio comprendere e far emergere tutta la complessità di un pensiero critico che non annulla tuttavia la profonda originalità di forma e contenuto.
Elemento che spiega come Mischima sia scrittore capace di affascinare e avvicinare generazioni vecchie e nuove.
Fino a renderlo anche una figura manieristicamente fissata in un santino-eroe da parte di chi ama più strumentalizzarlo che leggerlo nella sua sterminata e fertile produzione.
Un intento apertamente confessato da Danilo Breschi, nella sua Avvertenza, è proprio quello di liberarlo da questo rischio.
Come scrive fin da subito Breschi, "Mischima è un autore sovente vittima dell'immagine stereotipata che egli stesso ha contribuito a costruire, tramutando un'opera letteraria di altissimoa levatura in un'icona pop tutta immagine e nessuna o poca sostanza"
Contro questo rischio il pregio del libro è allora un rigore filologico di una esplorazione che sa attraversare i diversi bordi narrativi e performanti dell'artista, cogliendone sovente le reali o le apparenti contraddizioni.
Un rigore che non trascura l’uso pertinente di citazioni, rimandi paralleli ad altri autori, e ampi stralci della scrittura di Mishima.
Anche il debordante uso delle note a piè di pagina in cui si annida un variegata e appassionante bibliografia, sono la dimostrazione di una accurata ricerca e precisa lettura di elevata cultura professionale, senza tuttavia rendere il testo monografico un pedante prodotto accademico.
Breschi coglie in maniera coinvolgente quel vertiginoso equilibrio di piacevolezza di stile e profondità di contentuto che Mishima ha saputo al massimo rappresentare con la sua prosa nitida, cristallina, apparentemente leggera ma in continua tensione nervosa di prova con se stesso, fino alla scelta finale in cui l’Azione sembra uccidere la stessa Letteratura quando appare limitante e senza un suo sbocco veramente assoluto.
Un esercizio di stile quello di Daniele Breschi che ci appare anche una prova di scrittura pronta magari a tradursi in una sua prossima autonoma opera squisitamente narrativa.
Per tornare alla monografia, come viene risolto l’ enigma a cui si allude nel titolo del libro?
Breschi lo chiarisce all’inizio e man mano che il suo viaggio rituale procede e già manifesto in quella lucida citazione di Nicolas Gomiz Davila.
Un enigma attorno a un uomo e artista, non può mai sciogliersi in una verità chiarita una volta per tutte, data l’imprevedibilità di un essere.
L’enigma è piuttosto una circumnavigata e sollecita interpretazione di un’altra interpretazione seppure formulata come assioma.
Creativa necessità di ogni vera e sorgiva scrittura capace di scatenare altra scrittura. Così come un lettore si sente creativamente sollecitato a specchiare le proprie interpretazioni.
Nel caso del libro di Danilo Breschi il lettore riesce a godere della continua esplorazione capace di inabissarsi negli abissi e innalzarsi a quelle vette della scrittura mischimiana, a patto che il lettore sia un lettore attento e allenato nell’uso e nel riconoscimento dei codici testuali di riferimento e di quelli più sotto traccia. Un libro miniera preziosa per ogni studioso di Mishima e per ogni curioso che sappia e voglia poi approfondire tutta la variegata opera di uno scrittore che ha amato cimentarsi con i più disparati e moderni mezzi espressivi.
Ed è proprio questa modernità nell’andare oltre la stessa modernità che rivela quella collisione che di sicuro ha vissuto l’uomo e l’artista Mishima, pronta a scontrarsi “con il medioevo più feudale, gerarchico e guerriero”.
Questa collisione che in Mishima è sembrata risolversi nel gesto estremo del “seppuku”, Danilo Breschi non lo coglie borghesemente come scandalo ideologico e fanatico, anzi lo scandalo è quella cifra più penetrante e metaforica in grado di colpire come una freccia ogni conformismo borghese
e pigrizia di pensiero, pur mantenendo un nucleo di nichilismo. Una idea da condividere in pieno.
(Antonio Miredi)----------------------------------------------------------------------------------------------------
Danilo Breschi,Yukio Mishima. Enigma in cinque atti
Luni Editrice, 2020
lunedì 7 dicembre 2020
IL MISTERO MISHIMA A 50 ANNI DALLA MORTE
Voce fra le più originali e fascinose della Letteratura del Novecento Mishima ha vissuto il dramma di una impossibile conciliazione assoluta fra vita e opera, la Tradizione dell'Oriente e la problematicità dell'Occidente.
Affidando alla scrittura, quella radicale della scrittura del corpo, la scelta finale per uscire da un corto circuito.
L'ASSOLUTO OLTRE
di Antonio Miredi
Il 25 novembre del 1970 a Tokyo, con un gesto estremo e teatrale, alla maniera di un antico Samurai, lo scrittore giapponese Yukio Mishima decide di porre fine ai suoi giorni. Consegna al suo editore le ultime pagine de La decomposizione dell'Angelo e col suo ristretto corpo militare di giovani scelti occupa un ufficio del quartier generale militare, tenendo in ostaggio un generale.
E dopo una arringa dal balcone si sventra con una spada affidando a Morita il taglio rituale della testa.
Il suo ultimo biglietto è un messaggio di gloria: “La vita umana è breve ma io vorrei vivere in eterno”
A distanza di tempo non si può dire che questo epitaffio non abbia un suo nucleo di verità, dal momento che ne ha consegnato vita e morte alla eternità di un mito.
Ma è un mito che rischia continuamente di essere fagocitato ed assolutizzato in questa ritualità di azione estrema, compiuta nel coraggio di una feudale devozione a un Giappone di un tempo antico, schiacciando e persino annichilendo l'Opera vastissima, candidata al Nobel.
In altri termini, è legittimo rivendicare nel gesto una identificata matrice politica senza voler fare in profondità i conti con una scrittura in cui lo stile è in costante equilibrio di forma e contenuto, con tutto il necessario carico di radiosa ritmica chiarezza e lucido distacco di analisi?
Non che l'opera, nel suo ventaglio di racconti, romanzi, drammi, saggi, sia avulsa dal rito e dalla liturgia della morte, fino al suo esito più tragico col suicidio finale; piuttosto, quanto e come questa opera di Mishima possa spiegarne e sciogliere in parte il mistero.
L'attrazione di una Bellezza che danza continuamente insieme a Eros e Morte è nodo centrale imprescindibile, purché si sappia anche ricondurli a una loro forza archetipica.
C'è una figura centrale nell'opera come nella vita di Mishima, ed è quella artistica di San Sebastiano.
Un caso? Un caso che Mishima, fertile scrittore e grande lettore, non si sia cimentato con il lavoro di traduzione salvo rarissime eccezioni, e in questa rarità, Le Martyre de Saint Sébastien di Gabriele D'Annunzio? Un caso che abbia scelto col Sebastiano una icona prettamente occidentale e non una equivalente icona orientale?
“L'icona di San Sebastiano è stata rappresentata nella storia dell'Arte (una storia anche del desiderio camuffato) come l'Immagine di un trionfo del corpo, seppure (o proprio perché) trafitto.
Memorabile nella Letteratura il brano con cui Yukio Mishima , in Confessioni di una maschera, svela attraverso
il rinascimentale San Sebastiano di Guido Reni, il suo impetuoso e inarrestabile primo turbamento (omo)erotico.
Ma la struttura del suo archetipo è sicuramente più misterica ed enigmatica, più complessa rispetto alla facile tentazione di farne un santino, sacro o profano.”
(Antonio Miredi, L'Angelo ferito. Sette maschere del Poeta.
Omega Edizioni, 2004)
Provare ad uscire dal corpo (morto) di Mishima per entrare nel corpo (vivo) della scrittura, senza svilire la carica di sacrificio e testimonianza dell'azione rituale della morte, significa cercare di analizzare e capire tulle le motivazioni letterarie e tutte le pulsioni erotiche che sottendono la forza e la vitalità della sua scrittura.
Corpo vivo della scrittura perché nel momento stesso in cui si fa carne e respiro di un nuovo lettore continua a rivivere in altre forme, in altri sogni.
Ne Le lacrime di Eros, Georges Bataille, autore tanto amato da Mishima, riconosce nell'atto stesso dell'uomo primitivo di prendere piena consapevolezza della morte osservando la morte di un suo simile, l'invenzione della Religione, l'Arte e l'Erotismo.
In Mishima questa triade si intreccia in una unica ossessiva modalità di espressione ed esistenza, sintetizzata in una Idea di Bellezza che andrebbe studiata e focalizzata in tutta la sua complessità, più di quanto forse sia sia fatto finora.
“Non è consentito sapere e conservare la bellezza” in questa interiore (apparente) asserzione di Mishima può allora nascondersi l'impossibilità di una (provvisoria) soluzione e il condannarsi inevitabile all'ossessione di un Assoluto il quale, se privato di tutto quell'oltre di cui ha bisogno la vita, è destinato a uno sterile nichilismo.
(©Antonio Miredi)
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Foto:
Hosoe Eikoh. Ordeal by Roses. Mishima Yukio (1961)
Yukio Mishima come San Sebastiano